
di Emanuele Baldi
Diciotto maggio 1990. In una Firenze analogica, arroventata da un’estate frettolosa di arrivare subito alle “notti magiche“, Roberto Baggio, il ’Baggino’ della Fiesole, firmò e prese la via di Torino, sponda Juve, e in piazza Savonarola, sotto la vecchia sede della Fiorentina, esplose una guerriglia da anni di piombo.
Sassi, bottigliate, cassonetti rovesciati, fumogeni, denunce, arresti. La risposta di pancia, sbagliata certo, per un amore perduto, strappato via dalla fredda logica del mercato. "Vado alla Juve per forza, non per amore" disse Roby. E il popolo viola, testardo, ferito, stordito dalla beffa delle beffe – la coppa Uefa strappata via dalla prepotenza bianconere – fece fuoco e fiamme per giorni contro Pontello e poi, nella logica di ’Firenze contro tutti’, si mise a fare il tifo contro la Nazionale italiana.
Ieri, a trent’anni e più da quei pomeriggi nevrotici, fatti di jeans strappati e corse in Converse sui viali, in piazza Indipendenza, fuori dalla clinica Fanfani, Federico Chiesa – talento cresciuto in riva d’Arno dal dribbling fulminante e il dito fin troppo agile sul touch del telefonino e sui profili social, prodotto perfetto del calcio moderno che ormai ha qualche refolo d’anima e trombe d’aria di assegni staccati – è salito su un van con volto sereno e un sorriso plastico, impermeabile alle contestazioni dei tifosi ("Traditore, vai via traditore") assiepati in strada.
Non tanti, per la verità. Perché per Federico non c’è stato mai vero amore. E quindi neanche rabbia. Entusiasmo sì, ma non passione. Mani spellate sì, ma zero brividi al cuore. Orgoglio tecnico, ma nessuna carezza.
Baggio invece era alchimia, sorrisi timidi sotto riccioli ingellati, braccialetti e videogiochi al bar Marisa. Baggio era quella sciarpa viola raccolta sotto la tribuna al ritorno a Firenze in maglia bianconera, aprile ’91, quel rigore non calciato contro Mareggini (che poi la chiappò a De Agostini), quei ritorni a casa a Sesto Fiorentino in sella ai motorini dei tifosi dopo gli allenamenti.
Chiesa è stato talento cristallino e freddezza Instragram, classe pura e presunzione preconfezionata, valore tecnico (indiscutibile) che al momento opportuno è andato a batter cassa, giusto o sbagliato che ci paia, inseguendo sogni di gloria in una big.
"Forse vincerai, ma non sarai mai come lui. Signori si nasce" posta su Facebook Massimo, tifosissimo gigliato, che affida alla rete una foto di Antognoni con il ciuffone al vento anni’70. "I campioni sono campioni in tutto – risponde un altro stampando invece on line Bati che corre alla bandierina – a te Federico manca qualcosa: la fedeltà". Più che rabbia è liberazione, più che dispiacere sfogo. Perché diciamocelo, noi che Firenze la conosciamo: fosse rimasto con il broncio e la voglia di Juve avrebbe beccato fischi anche al bar a far colazione.
E mentre il sindaco Dario Nardella è laconico ("Mi dispiace, per un tifoso vedere un ex viola indossare la maglia bianconera non è mai una cosa bella. Detto questo speriamo che il mercato si possa chiudere con un bel colpo") scende in campo perfino lady Antognoni, Rita che in un post spiega la differenza tra Federico e suo marito, l’Unico 10:
"Mi torna in mente quella sera che Melloni chiamò per sapere se Giancarlo sarebbe passare alla Juve, l’Avvocato lo voleva fortissimamente e sul piatto per lui avrebbe messo davvero tanto. Ma lui non accettò voleva solo rimanere a Firenze. Non si è mai pentito nemmeno per una volta si è pentito. Altre storie, altri anni!". Saluti Federico, ci sei già passato di mente.