Enrica Cappelli, lo stupore della pittura

Francesco

Gurrieri

Potrebbe sorprendere, aprendo il catalogo “Sintesi 86” di Enrica Cappelli, trovarvi le testimonianze di personaggi come Franco Camarlinghi, Giovanna Carocci, Sergio Chiostri e Gianni Conti. Ma la spiegazione è semplice: la Cappelli è stata preziosa collaboratrice prima del Comune di Firenze (con Fioretta Mazzei e Camarlinghi), poi di Chiostri alla Fondiaria. "Attraverso queste righe – scrive l’allora assessore alla cultura della giunta Gabbuggiani – ho cercato di spiegare che non mi ha destato alcuno stupore vedere come Enrica sia diventata capace di sostituire la penna della sua sapienza amministrativa con il pennello del suo ingegno di pittrice; diventa pittrice perché ha l’esigenza di dare forma e colore al suo temperamento di artista". In effetti, accade che l’esercizio della vita possa occuparci tutto il tempo, allontanandoci da ciò che, naturalmente, saremmo portati ad esprimere. E’ la riflessione che mi è venuta in mente scoprendo questa vocazione “sommersa” di Enrica Cappelli, di cui non sapevo della confidenza col disegno e la pittura: una predisposizione rimasta silenziata, sotto la cenere dei giorni consumati in altre provvisioni, e che, liberatasi da queste, è esplosa quasi a voler recuperare il tempo perduto. Insomma questa sua pittura equivale ai bei romanzi scritti in età matura. Del resto, che cos’è il disegno se non un’espressione creativa dell’anima? Scriveva il grande Filippo Baldinucci nel suo ‘Vocabolario Toscano dell’arte del Disegno’ che "il disegnamento altro non è che un’apparente dimostrazione con linee di quelle cose, che prima coll’animo si aveva concepite, e nell’idea immaginate; al che s’avvezza la mano con lunga pratica, ad effetto di far con quello esse cose apparire". Che corrisponde al lirismo che scaturisce dalla lettura della natura di queste opere: “pensiero e bellezza”, giusto gli ingredienti essenziali dell’espressione artistica.