Don Faoro, la lezione dell’accoglienza

Cerimonia di intitolazione del giardino del Viottolone al religioso che spese una vita a contrastare il disagio giovanile

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"Ho combattuto il disagio giovanile come si doveva fare: in silenzio e senza troppi clamori". La discrezione era una chiave nelle parole di don Tarcisio Faoro, padre salesiano che aveva fondato il centro di accoglienza per minori Casa Mamma Margherita in via della Pieve. Dal 1988, anno di fondazione del centro della piana scandiccese al 2020, anno in cui il centro ha chiuso e il sacerdote allora 83enne venne trasferito per sopraggiunti limiti di età, aveva recuperato più di 90 ragazzi. Quell’esperienza è finita con lui che è mancato in quello stesso 2020. Ma don Tarcisio non è stato dimenticato. Domenica scorsa gli è stato intitolato il giardino del Viottolone (via Pisana angolo via Michelassi). Erano presenti il sindaco Fallani, la presidente del consiglio, Loretta Lazzeri, i rappresentanti delle parrocchie di Santa Maria Madre della Chiesa a Torregalli e della Pieve di San Giuliano a Settimo, e del Centro giovanile Salesiano, il proposto di Scandicci, don Giovanni Momigli. Oltre al sindaco è intervenuto anche don Giorgio Mocci, parroco di Santa Maria Madre della Chiesa a Torregalli. Grazie alla sua grande umanità e al suo impegno nel contrasto al disagio giovanile, il centro di accoglienza Casa Mamma Margherita in via della Pieve, in sinergia con i servizi sociali del territorio, nel corso degli anni ha dato l’opportunità a moltissimi ragazzi di poter riacquistare speranza nel proprio futuro.

Ci sarebbe ancora bisogno di un don Tarcisio, e della sua Isola che non c’è. Quelle stanze dove i bimbi sperduti trovavano aiuto, riparo e sostegno. In tanti domenica hanno ricordato il sacerdote per il suo impegno e per quel modo deciso e gentile allo stesso tempo di gestire questi ragazzi difficili. Il centro aprì nella parrocchia della Pieve di Settimo. L’inizio fu con una semplice stanza, il parroco di allora, don Antonio Masi, ricevette il via libera dal cardinale Piovanelli. I ragazzi cominciarono ad arrivare. Ragazzi soli, abbandonati da famiglie impossibili. Qualcuno cresceva e trovava la sua strada. Altri non ce l’hanno fatta e si è perso definitivamente. Erano anni in cui a Scandicci si sperimentavano i semi dell’accoglienza, del sostegno agli ultimi. In via Roma, il diacono Claudio Raspollini apriva l’Arca di San Zanobi. Un centro di accoglienza per profughi, dal quale durante la guerra dei Balcani sono passati tanti giovani rifugiati. Oggi l’accoglienza non manca, anche se manca forse un po’ di quella ‘incoscienza’ che rese quei progetti degli esempi.

Fabrizio Morviducci

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