Maggio ’96, la notte viola. Batistuta, i gol, il trionfo: 40mila in attesa al Franchi. Piangevano anche i bimbi

La vittoria a Bergamo di 27 anni fa e la festa alle 3 di notte per aspettare la squadra

Batistuta alza al cielo la penultima Coppa Italia, quella vinta nel 1996

Batistuta alza al cielo la penultima Coppa Italia, quella vinta nel 1996

Firenze, 24 maggio 2023 – C’eravamo tutti quella notte di maggio del 1996. C’eravamo tutti, perché certe notti, come cantava Ligabue, devi essere sveglio o non sarai sveglio mai. E noi, noi tifosi viola con addosso la nostra gioia giovane, invece che da Mario ci demmo appuntamento allo stadio Franchi. La Fiorentina aveva appena vinto la coppa Italia battendo l’Atalanta e in 40.000 non ce la sentimmo di andare a letto senza prima aver fatto festa coi campioni che stavano tornando da Bergamo. E quando, intorno alle 3, Bati, Rui e gli altri arrivarono, fu festa esplosiva. Che ricordo meraviglioso che è il ricordo di quella notte di 27 anni fa, forse l’ultimo vero happening di popolo che i tifosi viola abbiano vissuto.

A quella doppia finale con l’Atalanta la Fiorentina ci era arrivata dopo un percorso particolare. Il fato, anche allora, aveva deciso di non essere perfido, visto che nei primi turni aveva messo di fronte ai viola due squadre di serie C (l’Ascoli e il Lecce) e una di B (il Palermo). La vera sfida fu la semifinale con l’Inter del neo presidente Moratti. Una squadra ambiziosa, con i nuovi acquisti Zanetti, Roberto Carlos e Paul Ince a rinforzare il telaio storico composto da Pagliuca e Ganz, Bergomi e Berti. Sulla carta i favoriti erano loro. Solo che agli interisti sfuggiva un particolare. Sfuggiva che con la maglia viola giocava un campione assoluto e inarrestabile. Batistuta quell’anno non era un giocatore di calcio ma un dio greco prestato al pallone. Un centravanti infinito.

Quella sera al Franchi, il Bati realizzò un capolavoro. Con una tripletta fantastica frantumò da solo la resistenza interista, rendendo il ritorno a San Siro una formalità (vincemmo ancora per 0-1 grazie a una sua zampata) e regalando alla Fiorentina la finale con l’Atalanta. Che, manco a dirlo, fu decisa dai suoi gol: quello dall’andata al Franchi per l’1-0 finale, e quello del 2-0 che chiuse la gara di Bergamo. Un trionfo che incendiò la notte di Firenze. Ora: dice Pupo che la notte qua non è piena di vita come a Milano o come a Roma. Ma lui, quando ha scritto «Firenze Santa Maria Novella», mica poteva sapere di quella magia notturna d’amore che la vittoria in coppa avrebbe innescato. Perché al fischio finale, come richiamati da un pifferaio magico, in migliaia i fiorentini scesero in strada a fare festa, incamminandosi verso il tempo laico della loro fede, ovvero verso lo stadio Franchi. Uomini, donne, bambini, anziani, tutti insieme, con quella meravigliosa condizione di sentirsi fiorentini nel momento dell’orgoglio.

Così, quando la squadra intorno alle tre finalmente fece il suo ingresso nello stadio Franchi, la gioia di quelle quarantamila anime esplose, commuovendo tutti. Piangevano i padri e le madri con i figli accanto, e piangeva come un bimbo anche Bati con la coppa in mano. Si commuovevano i pensionati e la commozione era visibile anche negli occhi di Vittorio Cecchi Gori, quasi un bambino con quel trofeo accarezzato come fosse un giocattolo di cui andare fiero. Persino gli ultras avevano gli occhi bagnati di gioia, gli stessi occhi di Toldo e di Cois, di Rui Costa e di tutta la squadra che raccoglieva in mezzo al campo l’applauso e il canto dei 40.000.

Firenze che fa festa con la sua gente. Firenze collettiva e luminosa. Fatta di gente che ha scelto di tifare non per convenienza ma come atto di amore verso una terra, un colore, un’identità. Gente che non chiede un salvacondotto alla sofferenza perché ha chiaro quale sia il prezzo da pagare per questa scelta. Gente che per questo, quando capitano occasioni come quella della Coppa Italia del 1996, corre a fare festa anche esagerando, perché consapevole di quanto sia accidentata e difficile la strada che conduce alla vittoria. Molti penseranno che per questo siamo degli sciocchi provinciali. Noi invece lo sappiamo cosa siamo. Siamo gli ultimi sognatori in un mondo, quello del Calcio, che ha quasi smesso di sognare. Un privilegio, mica una condanna.

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