Basta un tap sul telefono e in pochi minuti a casa nostra arriva la cena. Ma chi c’è tra il ristorante e la nostra tavola? Lavoratori che pedalano a perdifiato sotto il sole o sotto la pioggia per consegnarci la pizza fumante o la birra gelida; li intravediamo sull’uscio, un sorriso e qualche spicciolo di mancia. "Il rider lavora stando fuori casa per 12 ore al giorno, senza differenziazione fra notturno, giornaliero, festivi, feriali – riassume Mattia Chiosi, funzionario delegato Cgil –. È inquadrato come autonomo e deve sottostare a un algoritmo che lo mette in competizione con gli altri rider, per riuscire a fare più consegne".
Una competitività che, con l’afa estiva, mette a rischio i lavoratori: "Ci siamo battuti per un protocollo caldo, ma tolta l’indicazione delle fontanelle e le borracce spesso neppure arrivate, siamo in alto mare: abbiamo chiesto creme solari e sali minerali, ma soprattutto un meccanismo di incentivazione alla pausa quando le temperature si alzano", spiega il sindacalista. Pensare che proprio d’estate la rincorsa all’algoritmo è ancora più tosta: "Da luglio a settembre diminuiscono le consegne e quindi si compete di più per accaparrarsele. Fino a qualche anno fa era un mestiere intrapreso anche da molti studenti, oggi è portato avanti da migranti, perlopiù pakistani e nigeriani: persone che hanno una fragilità sociale e economica che li espone ad accettare queste condizioni", riflette Chiosi.
"Il salario è una delle battaglie che stiamo affrontando in Cgil: l’applicazione dell’autonomia è illegittima e servono forme corrette che garantiscano una serie di diritti: l’infortunio c’è per legge regionale, ma non ci sono malattia, ferie e Tfr".
Carlo Casini