
Un barista
Firenze, 9 novembre 2021 - Niente indennizzo per malattia né riconoscimento di invalidità per i lavoratori ai quali capita un infortunio mentre consumano il 'rito' della pausa caffè in orario di servizio, anche se hanno il permesso del capo per andare al bar all'esterno dell'ufficio sguarnito di un punto ristoro. A stabilirlo è la Cassazione, che ha accolto il ricorso dell'Inail contro indennizzo e invalidità del 10% a favore di un'impiegata della Procura di Firenze che si era rotta il polso cadendo per strada mentre, autorizzata, era uscita per un caffè.
Per gli ermellini, la 'tazzina non è una esigenza impellente e legata al lavoro, ma una libera scelta. Il tribunale e la Corte d'appello di Firenze, invece, avevano accolto il ricorso della lavoratrice, osservando che la pausa "era stata autorizzata dal datore di lavoro" e che "era assente il servizio bar all'interno dell'ufficio". L'Inail, dunque, si era rivolto alla Cassazione, sostenendo che non possono essere ravvisati "nell'esigenza, pur apprezzabile, di prendere un caffè" i caratteri del "necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l'attività lavorativa".
Con la sua ordinanza, la sezione lavoro della Corte ha sancito che "è da escludere l'indennizzabilità dell'infortunio subìto dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dall'ufficio giudiziario dove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè", poiche' "la lavoratrice, allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio - si legge nel documento - si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa e incidente".