REDAZIONE FIRENZE

"Cardiochirurgia, il vincitore era già scelto"

La procura chiude l’inchiesta: sotto accusa il prof Stefàno, l’ex dg Calamai e il rettore Dei. Le accuse: tentata concussione e abuso d’ufficio.

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Il concorso per professore associato di cardiochirurgia aveva un vincitore prestabilito. Ne è convinta la procura di Firenze, che ha chiuso l’indagine su una tranche della più ampia "concorsopoli" che investe l’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi.

Dieci gli indagati: tra loro l’attuale titolare della cattedra, cioè il noto cardiochirurgo Pierluigi Stefàno, ma anche il rettore dell’Ateneo fiorentino, Luigi Dei, e l’ex dg di Careggi Monica Calamai, oggi alla Ausl di Ferrara. L’indagine, appena chiusa dai pm Luca Tescaroli e Angela Pietroiusti, si articola in due tempi. E anche in due ipotesi di reato. La prima, in ordine cronologico, in cui si ipotizza la tentata concussione e vede sotto accusa, oltre a Stefàno, i "baroni" di medicina Paolo Bechi (ex prorettore, oggi in pensione), il pratese Corrado Poggesi, Marco Carini e Niccolò Marchionni. Secondo le accuse, in due episodi distinti - uno del 2015, l’altro del 2016 - avrebbero avvicinato un altro professore, Massimo Bonacchi, con l’intento di convincerlo ad inserire il nome di Stefàno (nell’ottica della futura chiamata di un associato a cardiochirurgia) nelle sue pubblicazioni. Stefàno, un "ospedaliero", non avrebbe avuto problemi sull’esperienza ma scarseggiava in pubblicazioni. Da qui l’idea del ’prestito’ di titoli da parte di Bonacchi in cambio di un "maggior coinvolgimento nell’attività assistenziale e chirurgica, con progressivo aumento di interventi chirurgici quale primo operatore". In caso di rifiuto, Bonacchi sarebbe stato "tagliato fuori e marginalizzato". Oggi Bonacchi, che si oppose alla proposta, è andato a Bari.

Ma le ’minacce’ al professore rientravano, erano un tassello di un puzzle più ampio, pensato dalla Calamai e "condiviso" - si legge nel capo d’imputazione -dal rettore dell’Università, che ruotava intorno alla figura di Stefàno: affidare a lui la cardiochirurgia, sia clinica che universitaria. Un piano che pareva noto nell’ambiente (secondo alcune mail tra prof agli atti) ma che a un certo punto incrociò un ostacolo: Sandro Gelsomino, un altro cardiochirurgo - titolare di una cattedra all’università di Maastricht, che un po’ a sorpresa sfidò Stefàno. E qui si apre il secondo filone delle contestazioni. Un presunto abuso d’ufficio in concorso che vede implicati il rettore Dei, la ex dg Calamai, ancora l’ex prorettore Bechi, Poggesi e Marchionni, e i tre membri della commissione, i prof Tiziano Gherli, di Parma, il bolognese Roberto Di Bartolomeo e il milanese Andrea Maria Giuseppe D’Armini. Oltre a Stefàno, "istigatore e concorrente materiale, nella veste di beneficiario del reato".

Gli inquirenti hanno ricostruito che che il cardiochiurgo avrebbe addirittura partecipato alla stesura del proprio bando ’cucito su misura’ e che i tre commissari sapevano chi doveva vincere "a prescindere da ogni valutazione di meriro".

Alla fine (verbale del 20 dicembre 2018), Stefàno prevalse su Gelsomino grazie alla sua vastissima e indiscussa attività clinica, ma la commissione, secondo i pm, definì "importantissimo" un requisito che invece avrebbe dovuto avere una rilevanza "subvalente" rispetto alle pubblicazioni scientifiche e all’esperienza accademica, in cui lo sfidante vantava "un curriculum più ragguardevole".

Gelsomino, con l’avvocato Niccolò Lombardi Sernesi, si rivolse prima al Tar, poi alla magistratura. La giustizia amministrativa ha dato ragione a Stefàno, resta da vedere cosa dirà quella ordinaria. La procura sembra pronta alla richiesta di rinvio a giudizio. Il rettore Dei, perquisito poche settimane fa, ha preferito non commentare la conclusione dell’indagine.