
di Titti Giuliani Foti
"Sono vissuto tra i camerini dei teatri, grazie alla mia nonna attrice, madre di mia madre Daniela, Marisa Mantovani. Luoghi che per me sono da sempre famiglia e forse mi è sembrato naturale proseguire in questo senso. Penso che in qualche modo mi ci sono trovato sul palcoscenico. Di certo ho studiato molto, ma quel che conta è che alcune scelte di vita sono state il proseguimento della mia infanzia e poi dell’adolescenza".
Enrico Fink, nato a Firenze nel 1969, è compositore, cantante, flautista e autore teatrale, oltre a essere ricercatore e direttore artistico. Da novembre ha un altro importante incarico: è il presidente della Comunità Ebraica di Firenze: "E’ un lavoro molto impegnativo", dice con un sorriso.
Enrico Fink le cose da sempre le prende sul serio, con impegno, e si vede. E’ questa la storia della villeggiatura del bambino che fu, nato già abbastanza adulto per la sua età, un antesignano del termine ‘nerd’ e leggermente solitario. Ma attraverso la sua fantasia è riuscito a creare mondi meravigliosi, magicamente trasformati in realtà. Ha capito che una certa inutile empatia porta al massimo a regalare un racconto, a devolvere un guadagno, ma anche a trasformarla in progetti. Che vanno a buon fine e hanno una loro logica.
Enrico cosa le evoca il ricordo della villeggiatura?
"Una parola che è come un viaggio in un paese straniero: il solo pensare di passare i mesi estivi a giocare con altri bambini trovati sulla spiaggia in qualche modo mi soggiogava, come il pensiero di quelli più grandi di me che creavano cose nuove. In un certo senso l’estate mi metteva davanti l’affrontare le paure, e mi aiutava a districarmi nei miei desideri. Perché da bambino desideravo senza limiti e nello stesso tempo mi annoiavo e facevo poche domande".
Se si vedesse oggi in quei momenti?
"Ritroverei un’anziana zia che aveva un appartamento ai Lidi Ferraresi dove stavo da giugno a settembre. Era la mia vacanza al mare-standard: la mia vita estiva era il microcosmo di una seconda casa. Una dimensione dove il luogo di mare che vivevo si riempiva di persone al culmine dell’estate, e poi si svuotava appena passava. Questa sensazione di vuoto e pieno mi accompagna anche ora. Ricordo la sensazione di calma piatta per mesi e poi il caos più totale".
Compagnie da spiaggia?
"Tante ma non ingombranti: l’estate erano anche i primi innamoramenti. Eravamo bambini da film e le ragazzine del mare erano spesso tedesche, bionde e bellissime. Quando ho scollinato i 14 anni c’era sempre chi arrivava con la chitarra sulla spiaggia e lì, davanti al falò, accadevano cose, come nei film".
Era il mondo dell’ estate italiana.
"Sì, che vivevo un po’ da fuori, da fiorentino. Ma ricordo lo stereo a tutta valvola che trasmetteva la radio libera di Lido degli Estensi e le canzoni-tormentone come il primo Raf e Claudio Baglioni: era la loro musica che cadenzava quei giorni caldi e assolati".
I suoi giochi?
"Quelli da spiaggia, con secchielli, palette e castelli di sabbia mi annoiavano un po’. Preferivo stare nei pressi del pedalò tirato sulla spiaggia al nostro bagno Olimpia e inventarmi situazioni non dico di conflitto, ma di storie fantastiche quando il fantasy come genere neppure c’era".
Ha un ricordo particolare?
"La motonave che ci portava sul delta del Po e la mangiata a bordo di sarde pescate e fritte. E’ un bel ricordo, mi sembrava di andare chissà dove in mezzo a quella distesa d’acqua, era come un’avventura".
Con la nonna Marisa passava del tempo in estate?
"Quando smetteva di recitare mi portava spesso a Ischia in una casa molto particolare dove si arrivava solo in barca. Lì invitava tutto il suo giro di amici e colleghi attori di teatro: ricordo benissimo Giorgio Albertazzi che la scelse per il suo Enrico IV e anche Elisabetta Gardini, all’epoca attrice, che frequentavano la sua casa d’estate. Io ero il piccolo della situazione, molto coccolato".
Che sapore aveva la sua villeggiatura?
"Dei panini che preparava mia madre Daniela e che mi portava mio padre, Guido – è stato un critico letterario, cinematografico e teatrale (ndr) – all’ora di pranzo. Andavo al mare presto e facevo lunghe nuotate: ho sempre amato il contatto con l’acqua. Passavo lunghissime ore sulla spiaggia: sono stato un bambino che si isolava. Mangiavo panini in spiaggia durante ore vuote di gente che tornava a casa. Poi inventavo avventure eroiche assaporando il mio gelato preferito, il granulato all’amarena".
Quale il rumore della villeggiatura?
"Quello del flipper Tiger del bagno: con 50 lire alla volta potevo giocare tutto il pomeriggio. Il massimo lo raggiungevo quando lo mandavo in tilt".
Sfide con gli altri bambini?
"Poche: ero sempre l’ultimo in qualsiasi tipo di competizione. C’erano due ragazze tedesche più grandi di me, figlie di un calciatore famoso, che neppure mi salutavano. Una volta vennero a una partita e dovevo parare il rigore: davanti a loro mi ruppi il polso. Il massimo della figuraccia. Ero un po’ un Calimero, ma la condizione è stata transitoria. Il mio riscatto l’ho trovato tra i banchi di scuola. Finalmente qui ero davvero super bravo".