STEFANO BROGIONI
Cronaca

Bombe di mafia e carabinieri uccisi Un unico intreccio per due misteri

Il poliziotto e il suo confidente: rivelazioni sull’eccidio di Alcamo e sulla biondina delle stragi per cui è indagata una bergamasca

di Stefano Brogioni

Un misterioso confidente e due storie, apparentemente distanti, che s’intrecciano. La "nuova" verità sulle stragi del 1993, e un eccidio mai chiarito, per arrivare alla "bionda" delle stragi mafiose. Il tutto all’ombra di Gladio e di trame oscure. Alcamo Marina, Trapani, è il punto di partenza, o forse di arrivo. È qui, infatti, che il 27 gennaio 1976, un commando fece irruzione nella caserma Alkamar. Il carabiniere Carmine Apuzzo e l’appuntato Salvatore Falcetta vennero trucidati a colpi di calibro 38. Gli autori dell’esecuzione avevano neutralizzato con la fiamma ossidrica il portone della caserma e li avevano sorpresi nel sonno. La mattina seguente, i poliziotti della scorta del leader del Msi, Giorgio Almirante, passando davanti all’Alkamar notarono la porta manomessa e diedero l’allarme.

Per l’omicidio dei carabinieri Apuzzo e Falcetta, vennero condannate quattro persone. Una di queste era Giuseppe Gulotta, che nel 1976 aveva appena 19 anni. Si prese l’ergastolo ma mentre stava scontando la sua pena in semilibertà, Gulotta, emigrato a Certaldo (Firenze), ha chiesto, ottenuto e vinto la revisione del processo. La confessione che il giovane Gulotta aveva firmato era stata estorta con minacce e sevizie. Dell’eccidio, né lui né gli altri tre presunti membri del commando nulla sapevano. Per 22 anni di ingiusta detenzione, Gulotta ha ottenuto un risarcimento dallo Stato. Ma la verità è rimasta sepolta. Chi abbia compiuto la strage di Alcamo Marina, resta un mistero. E qui entra in campo un altro personaggio. È un poliziotto, lavora anche lui ad Alcamo, si chiama Antonio Federico. Un suo confidente, come si legge nel libro scritto dallo stesso Gulotta con il giornalista Nicola Biondo, gli rivelò che "quella era un’operazione militare, un’operazione di Gladio". Secondo questa ricostruzione, i due militari della Alkamar sarebbero stati uccisi perché avevano scoperto qualcosa di più grande di loro.

E ad Alcamo Marina sono tornati anche i magistrati di Firenze, Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Luca Tescaroli, che vogliono chiudere il cerchio sulle stragi di Firenze, Milano e Roma, dove la mafia potrebbe aver avuto un aiuto “esterno“. Hanno in mano un nome, quello della donna che, secondo due testimoni, il 28 luglio 1993 parcheggiò vicino al Padiglione d’arte contemporanea di via Palestro, a Milano, la Fiat Uno carica di esplosivo che uccise cinque persone. E hanno interrogato proprio il poliziotto di Alcamo. Perché Federico, ancora grazie a una soffiata (la solita fonte?) nel settembre ’93 fece scoprire un arsenale di armi nascosto in un villino. I tenutari di quell’arsenale risultano due ex carabinieri in odore di servizi segreti. Anche su quel deposito di armi, s’allunga l’ombra di Gladio. E dentro un volume di un’enciclopedia ordinata in una libreria, dove la misteriosa fonte aveva suggerito di guardare per scoprire qualcosa che aveva a che fare con la strage di due mesi prima, "c’era una fotografia di una donna rimasta sconosciuta". Quell’immagine, ha dichiarato Federico, somigliava all’identikit 14 diffuso dopo via Palestro. La comparazione tramite l’applicazione "c-Robot" tra identikit e una foto segnaletica scattata nel ’92, ha dato il 67% di possibilità che quella donna sia Rosa Belotti, bergamasca, l’ultima indagata per le stragi del ’93, che nega ogni coinvolgimento. Presto sarà sentita dai pm, giunti a lei passando da Alcamo e dalle rivelazioni di una gola profonda che dovrebbe uscire allo scoperto.