STEFANO BROGIONI
Cronaca

La bancarotta in criptovaluta. Un tesoro da settanta milioni con i ‘Nano’ sequestrati dai pm

E’ in corso il processo al proprietario della piattaforma "Bitgrail" per il maxi ammanco del 2018 Ma intanto i creditori che si sono insinuati nel fallimento stanno recuperando i soldi andati in fumo

Bitcoin

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Firenze, 19 maggio 2024 – La piattaforma Bitgrail fallì, dopo un controverso ammanco della criptovaluta "Nano" su cui è ancora in corso il processo al fondatore, Francesco Firano.

Ma nelle due procedure fallimentari che hanno accompagnato la complessa inchiesta penale, condotta dai pubblici ministeri Sandro Cutrignelli e Fabio Di Vizio, è stato recuperato anche un tesoro di oltre 70 milioni, che è stato in gran parte già assegnato ai creditori che si sono insinuati nella procedura "Bg Service srl" curata dal dottor Gian Pietro Castaldi e dall’avvocato Tommaso Ariani.

Il 30 maggio si torna in aula, dinanzi al giudice delegato Cristian Soscia, per quella che dovrebbe essere la terza e ultima ripartizione dell’attivo ricavato dalla vendita dei "Nano" sequestrati dalla procura. Un’operazione che ha dato i suoi frutti, visto che le “vittime“ del fallimento della Bg Service srl (e della Webcoins solutions) hanno già ottenuto complessivamente oltre 50 milioni di euro. Cassa rimpinguata vendendo i "Nano" in un momento felice del mercato. Nel momento in cui stiamo scrivendo, la moneta virtuale vale 1,1 euro. Ne valeva 27 quando, nel febbraio 2018, iniziò questa storia, definita la ’truffa digitale più grande d’Europa: secondo i calcoli, l’ammanco arrivava all’equivalente di 120 milioni di euro. Tutto cominciò con un ammanco dalla piattaforma di Firano, nickname ’the bomber’, broker virtuale residente a Signa dalle indiscusse competenze in una materia che per molti è indigeribile. I circa 230mila clienti di Bitgrail, provenienti da tutto il mondo (non tutti si sono costituiti nei procedimenti), si accorsero che dai propri wallet (portafogli) cominciava a mancare la criptovaluta che avevano acquistato e che stava acquisendo, in quel momento, valori a nove zeri.

Per la procura, Firano avrebbe omesso di ’’tappare la falla’’ per impedire la fuoriuscita dei bitcoin, e avrebbe partecipato all’hackeraggio per poi cercare di cambiare, in soldi "veri", parte di quella criptovaluta che sarebbe uscita dalla cassaforte grazie a una falla nel sistema che dava un accredito doppio a chi prelevava. E la denuncia del furto, sarebbe stato un tentativo di sviare le attenzioni da sè. Ma ’the bomber’ ha sempre contestato l’ipotesi accusatoria: "A causa di un controllo mancante – ci ha spiegato – alcuni utenti sono riusciti a sottrarre oltre dieci milioni di ’Nano’. Il tribunale fallimentare ha stabilito che avrei dovuto occuparmi io di questo controllo mancante, io ho invece sempre sostenuto che fosse un problema della moneta e a conferma di ciò c’è il fatto che tutte le altre monete detenute dal mio exchange non hanno subito furti". Ma una perizia addebita a Firano operazioni sospette nei giorni precedenti alla denuncia per furto. Tesi che i difensori di Firano, Giovanni Sarteschi e Francesco Ballati, stanno cercando di smontare.