ILARIA ULIVELLI
Cronaca

Addio all’ambasciatore della nostra cucina

Morto il cuoco e imprenditore Fabio Picchi: partito dal ristorante Cibrèo ha conquistato la scena nazionale anche da opinionista in tv

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di Ilaria Ulivelli

Eccome se gli piaceva provocare i clienti. Li stuzzicava sin quasi a irritarli, ci si divertiva. Con quel modo rustico ma raffinato da strappare la forchetta di mano alla contessina, "perché il prosciutto del Casentino si mangia con le mani". E poche storie. Fabio Picchi era sempre un passo avanti, come tutti i visionari. Anche da ragazzo: un leader al Quinto liceo scientifico. Si chiamava così la scuola a Villa di Rusciano che diventò poi il Gobetti. Ci rimase un paio d’anni in più.

Ora se n’è andato in silenzio, lui che zitto non sapeva starci: gli piaceva spiegare, convincere. Soprattutto a convincere era bravissimo. Vendeva squisitezze ma fossero state ciabatte con le sue abilità di commerciante tutti le avrebbero volute. Anche mangiate. A 67 anni l’ha ingiottito la malattia che un poco alla volta l’aveva consumato. Non voleva farsi prendere, sino all’ultimo è rimasto dietro il bancone. Chef alla parigina, ossì, che Parigi gli piaceva e ci aveva preso anche casa "per scapparci ogni tanto con la Maria", l’attrice Cassi, sua moglie. O còco, come avrebbe detto lui alla fiorentina. Firenze lo piange. A rifarne uno uguale non ci si fa. Anche in televisione, il Picchi ci andava spesso e a modo suo. Per spadellare ma anche da opinionista perché alla fine masticare la politica gli piaceva più che un po’. Ci sguazzava nelle polemiche.

"Ci mancherai tanto, Fabio. Ma porteremo con noi la tua incontenibile fame di vita. Ciao, colonna di Sant’Ambrogio, vecchio cuore di Firenze", scrive sui social il senatore Matteo Renzi. Già il cuore di Firenze. Aveva aperto il primo ristorante nel 1979, in via de’ Macci, una Firenze così popolare, che in quegli anni, chi ci viveva, glielo disse con franchezza che era un pazzo a pruomuovere la cucina verace della tradizione fiorentina a livello altissimo. E invece ci aveva visto bene. Tanto bene da costruire un impero partendo da un buchetto nel vicolo buio. Lo chiamò Cibrèo in onore dell’intingolo di fegatini e bargigli di pollo che in famiglia, quand’era piccino, veniva cucinato nelle grandi occasioni. Poi non si fermò più. Ha conquistato il rione dal ristorante che presto divenne il ritrovo della Firenze radical chic e dei potenti: c’è una sala da pranzo in disparte, un privée dove si può desinare al riparo da sguardi indiscreti.

A chi gli diceva che la sua roba costava troppo ha sempre risposto che la qualità vera si paga. "Era una persona autentica, animata dalla volontà di partecipare alla vita fiorentina e tramandare la passione per il cibo – lo piange il sindaco Dario Nardella – Fabio non aveva mai smesso di investire nella sua Sant’Ambrogio e di spronare l’amministrazione con idee di riqualificazione dell’area".

Aveva molti talenti, Fabio Picchi. Col cervello in continua ebollizione: un’idea dietro l’altra. E quante ancora da realizzare. "Con lui se ne va un pezzo di Firenze e di Toscana che si è fatta conoscere e apprezzare nel mondo per la sua creatività e genialità – dice il governatore Eugenio Giani – Picchi è stato un ambasciatore del gusto e dei sapori della nostra regione, capace di esaltare la semplicità e genuinità della nostra cucina e farne un veicolo di cultura".

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