Usura, riciclaggio e ’ndrangheta. La procura chiede 14 rinvii a giudizio

C’era la mafia calabrese tra Empoli e Santa Croce. Ecco come agiva

Il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho e il procuratore di Firenze, Creazzo

Il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho e il procuratore di Firenze, Creazzo

Firenze, 9 novembre 2018 - 'Processateli'. La procura di Firenze ha chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio per i 14 indagati dell’inchiesta “Vello d’Oro”, l’indagine che si è dipanata tra la Calabria e la Toscana che nel febbraio scorso culminò nell’emissione di 11 misure di custodia cautelari in carcere e 3 ai domiciliari. La procura guidata da Giuseppe Creazzo contesta, a vario titolo, reati che vanno dall’associazione a delinquere, estorsione, usura, riciclaggio ed autoriciclaggio. Ad alcuni anche l’aggravante del metodo mafioso.

Tra gli indagati c’è pure Giuseppe Nirta, nipote e omonimo del boss della ‘ndrina ‘La Maggiore’ di San Luca, ucciso nel 1995. Per

Nirta il giudice Paola Belsito aveva disposto il carcere in quanto ritenuto soggetto che opera «in collegamento, nell’interesse, a favore di articolazioni mafiose storicamente e stabilmente connotate», le cosche Nirta di San Luca e Barbaro di Platì.

Ma a cosa si dedicavano questi tentacoli delle ’ndrine nel territorio compreso tra Empoli e Santa Croce? La vasta indagine ha preso spunto da una denuncia per usura presentata nei confronti di Cosma Damiano Stellitano, imprenditore calabrese trapiantato a Vinci il quale, a fronte di un prestito di 30mila euro, avrebbe preteso la restituzione, il giorno dopo, di 35mila euro, con un tasso d’interesse del 6mila percento su base annua. Il prosieguo delle indagini ha permesso poi di scoprire quello che secondo le accuse è ritenuto un sodalizio criminale composto da membri delle famiglie calabresi Nirta e Barbaro. Tra questi, Antonio Scimone, risultato, sempre secondo le indagini della procura fiorentina, al vertice di una rete di ‘cartiere’, con sede anche all’estero, costituite ad hoc per coprire attraverso fatture false e movimentazioni fittizie, ingenti movimenti di denaro proveniente da attività illecite, come lo spaccio di droga.

Queste società sarebbero state il mezzo con cui erogare prestiti a società in difficoltà del settore conciario: prestiti mascherati da acquisti di pellame utilizzati a loro volta dagli imprenditori (alcuni dei quali destinatari delle misure di questa mattina) per pagare lavoro nero e al tempo stesso abbattere, attraverso le false fatturazioni, gli utili delle proprie aziende, scaricando al tempo stesso sull’Erario il ‘costo’ del finanziamento illecito ottenuto. Con Scimone, Stellitano Cosma e Nirta, finiranno davanti al gip Antonio Barbaro, di Platì, Andrea Iavazzo (fucecchiese residente a Pistoia), Maurizio Sabatini (di Santa Croce), Lina Filomena e Giovanni Lovisi (Santa Croce), Mario Lovisi (Castelfranco di Sotto), Francesco Lovisi (Fucecchio), Nadia Carresi (Santa Croce), Marco Lami (Santa Croce) Alessandro Bertelli (Fucecchio), Filippo Bertelli (Empoli).

ste.bro.