I tesori dell'arte salvati in Valdelsa: così Montespertoli divenne rifugio dei capolavori

Anni ’40: la Primavera del Botticelli fu custodita a Montegufoni

La ‘Primavera’ di Botticelli nel deposito di Montegufoni nel gennaio 1945

La ‘Primavera’ di Botticelli nel deposito di Montegufoni nel gennaio 1945

Montespertoli, 18 luglio 2019 - Negli anni ’40 del secolo scorso Montespertoli era diventata, anche se a saperlo erano in pochi, come accade in periodi bellici, una capitale dell’arte italiana. Una ricca scelta di opere dei più importanti musei fiorentini era approdata in alcune residenze di pregio nel territorio del comune: il Castello di Montegufoni, nell’omonima frazione, Villa Bossi Pucci a Montagnana e il Castello di Poppiano.

Con l’entrata in guerra del nostro Paese, nel ’40, i responsabili della tutela delle opere d’arte e il ministero interessato, si erano dati da fare per scovare sedi adeguate per i tesori artistici messi a rischio da possibili bombardamenti aerei, e da colpi di artiglieria nel caso che il conflitto fosse arrivato, come accadde, a Firenze.

«Il soprintendente alle Gallerie, il professor Giovanni Poggi – come ricorda l’ingegner Andrea Pestelli, nipote di Guido Masti, il custode di Montegufoni – trovò quelle tre ‘dimore’, a cui dalle nostre parti si aggiunse il Castello di Monte Oliveto a Castelfiorentino». Nel caso di Villa Bossi Pucci e del Castello di Poppiano dei conti Giucciardini, c’era l’accordo dei proprietari. Per Montegufoni le cose furono più facili: «Il Castello, proprietà di sir George Sitwell, inglese, era stato requisito dallo Stato e quindi non c’erano problemi. A mio nonno Guido, che era il custode, fu chiesto di occuparsi delle opere d’arte. Tra esse c’era anche la bellissima e preziosissima Primavera del Botticelli.

La procedura, in ossequio a una burocrazia una volta tanto seria, prevedeva un verbale di consegna delle opere e uno di riconsegna per quando la guerra sarebbe finita». A Montespertoli le cose, a parte i soldati morti nei vari campi di battaglia o in conseguenza di eventi bellici, erano andate bene. La musica cambiò con l’armistizio del settembre ’43. In pochissimi giorni gli ex alleati tedeschi occuparono la gran parte d’Italia, mentre la Sicilia era in mano agli Alleati.

«E fare i conti con i soldati della Wehrmacht non fu semplice. Poco prima della ritirata verso Nord dei tedeschi, a Montegufoni arrivò un reparto di paracadutisti il cui comandante non tenne conto di una lettera del maresciallo Kesselring, comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, che impediva ai soldati di occupare il Castello. Volevano anche bruciare “quelle tele inutili”, ma mio nonno si oppose fermamente e, grazie anche a fiaschi del buon vino locale e allo Cherry Brandy della riserva del baronetto, riuscì a scongiurare il rogo».

A Montagnana le cose andarono diversamente. Lì, in omaggio alle scelte predatorie del regime di Hitler, un giorno, poco prima della ritirata, si presentò un reparto di militari che riempirono dieci camion di opere d’arte (ce n’erano oltre 300) e se ne andarono verso il Nord. Le opere, per fortuna, alla fine della guerra furono ritrovate in Alto Adige, salvo quadri come il “Vasi di fiori” portato via da un soldato e che adesso torna agli Uffizi. Al Castello di Poppiano furono i soldati neozelandesi a creare qualche problema. Durante la loro avanzata una cannonata danneggiò una deposizione del Pontormo che ora si trova a Carmignano.