Le note del “Tango Macondo“ di Ugo Dighero

Lo spettacolo sarà domani al teatro "Excelsior" di Empoli alle 21. Il testo è tratto dall’opera di Salvatore Niffoi "Il venditore di metafore"

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E’ una favola ricca di fantasia, cuore e musica. Uno spettacolo - ispirato all’opera di Salvatore Niffoi "Il venditore di metafore" - che porta sul palco attori, musicisti, ballerini per condurre il pubblico in un viaggio onirico dalla Sardegna all’Argentina. Al teatro Excelsior di Empoli alle 21 di domani c’è “Il Tango Macondo. Il venditore di metafore“ di Giorgio Gallione. Ce ne parla Ugo Dighero, al quale è affidata la narrazione insieme a Rosanna Naddeo e Paolo Li Volsi.

Parole, musica, ballo, poesia. Come dialogano tra loro gli ingredienti della pièce?

"Il trait-d’union sta nell’immaginazione, nella fantasia, nel linguaggio usato da Gallione che ama partire da romanzi e racconti e non da testi teatrali. Essendo coinvolti musicisti, danzatori e attori è un progetto complesso. Il bello è che tutti si sono resi disponibili al gioco e con grande pazienza, insieme, abbiamo montato pezzo per pezzo. Il segreto della resa è stata la sinergia".

Il venditore di metafore le somiglia?

"Direi di sì. Come attore mi sono sempre dedicato a monologhi, affabulazioni. Porto nei teatri da 40 anni ‘Mistero buffo’ di Dario Fo. Matoforu, il cantastorie sardo immaginato da Gallione, è frutto dell’idea di unire vecchie leggende della Sardegna al mitico mondo di Macondo (in riferimento al paese inventato da Gabriel García Márquez in Cent’anni di Solitudine, ndr). E’ un viaggio che mischia due mondi e due tradizioni completamente diverse".

Cosa rappresenta per lei Macondo?

"E’ il classico mondo ideale che ognuno trova dentro se stesso, dove ci si dovrebbe sentire a proprio agio. Quelli dentro noi sono viaggi che vanno fatti nel qui e nell’ora. Il viaggio inteso come fuga non funziona mai, o si rischia di scappare proprio da noi stessi".

Com‘è stato dividere il palco con Paolo Fresu?

"E’ rimasto entusiasta, la poetica del regista ha travolto anche lui che ha una grandissima sensibilità. Ma tutto l’ensemble guidato dal suo talento si è amalgamato in maniera straordinaria".

Sono lontani i tempi di Mai dire Gol. Quale delle sue anime porta stavolta in scena?

"Il mondo del gioco e dello scherzo è un punto di vista che mi porto sempre dietro, anche nella vita. Bisogna riuscire a cogliere i lati paradossali e comici nei momenti strazianti e dolorosi, così come in quelli di gioia ed esaltazione. In questo spettacolo anche se si affrontano alcune cose con ironia, è l’aspetto sognante dei personaggi che prende il sopravvento".

Com’è cambiata la comicità?

"La politica tende a dividere il mondo in categorie precise, ci chiedono uno schieramento. E l’alta percentuale di alfabeti funzionali di cui è composta la nostra società è ben contenta di schierarsi: o bianco o nero. Invece il mondo è un’infinità di grigi. In questo contesto ironia e satira fanno fatica a sfondare. La comicità ha un compito importante ma non è un momento facile".

Ha sempre saputo di voler fare l’attore?

"Da ragazzo non avevo idea di cose fare anche se mio padre ha sempre recitato. Mi sono iscritto a Economia e Commercio. Poi ho seguito alcuni amici a lezione alla scuola del teatro stabile di Genova, mi sono appassionato, e durante le prove di uno spettacolo ho avuto la mia illuminazione. Sono uscito quella sera con la certezza che nella vita avrei fatto l’attore. Da quel giorno non ho mai mollato".

Ha ascoltato l’istinto uscendo dagli schemi…

"Incontrare il proprio talento è la fortuna della vita. Per riuscirci, aiuta percorrere strade impreviste, difficile che accada qualcosa di nuovo e inaspettato sui sentieri battuti".

Ylenia Cecchetti