"L’Empolese Valdelsa è in zona rossa"

Roberto Tarquini, primario di medicina interna, responsabile del reparto Medicina 1 del San Giuseppe invoca il lockdown per il territorio

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di Samanta Panelli

EMPOLI

"Di che colore è l’Empolese Valdelsa? E’ zona rossa e ritengo che un lockdown locale sarebbe la strada giusta da perseguire: in ospedale, siamo ai limiti di sopportazione del carico". Va diretto alla meta, ovvero chiarire le idee a chi continua a guardare al Covid come una brutta influenza di stagione, Roberto Tarquini, primario di medicina interna, responsabile del reparto Medicina 1 del San Giuseppe. Un ospedale che, nelle ultime settimane, ha di nuovo schierato l’assetto da guerra contro il nemico silenzioso che, giorno giorno, offre un bollettino di contagi e decessi preoccupante.

Dottor Tarquini, com’è la situazione?

"Da lunedì, Medicina 1 e Medicina 2 saranno equiparate per numero di letti Covid: ci saranno in totale sei setting, oltre ai dieci posti di terapia intensiva Covid e agli 8 di subintensiva Covid. Per i pazienti no Covid nell’area medica resteranno circa 84 posti: la gente deve capire che potrebbe aver bisogno di prestazioni extra-Covid e non trovare posto".

Quanti Covid positivi ospiterà la Medicina?

"Arriviamo a 144. Si tratta di pazienti più gravi rispetto alla prima ondata: se a primavera, i colpiti erano soprattutto gli anziani, oggi abbiamo a che fare anche con giovani, parlo di persone sotto i 40 anni, intubati. Abbiamo, a reparto, un numero medio di soggetti ventilati fra 10 e 12. Dati da subintensiva".

Questo cosa significa?

"Significa un impegno assolutamente maggiore per medici, infermieri e operatori socio-sanitari, una mole non sostenibile. Tutto il personale, al quale va il mio grazie, sta lavorando oltre il limite delle possibilità, in un clima di paura, stanchezza, di scoramento, e faccia a faccia con la carenza di operatori".

E in caso di contagio del personale?

"I contagi ci sono già fra gli infermieri, il ricambio no, perché, vede, i reparti Covid richiedono un impegno maggiore rispetto a un reparto a bassa intensità. E va messa in chiaro una cosa che sembra sfuggire: i letti, 144 dicevamo da lunedì, sono di medicina interna non di infettivologia".

Il Covid dovrebbe essere trattato in un reparto di malattie infettive, giusto?

"Esatto. A Empoli, questo reparto non c’è e abbiamo un infettivologo come consulente. E, comunque, anche negli ospedali dove è presente, quel reparto non basta a contenere i casi che vengono quindi affidati alla medicina interna. Il carico di questa emergenza grava in particolare su pronto soccorso, rianimazione e medicina interna, anche se di quest’ultima non si sente mai parlare".

Un ritmo serrato quello con il quale vi misurate.

"Negli ultimi cinquanta giorni, abbiamo aperto un setting ogni sei giorni, l’ultimo scatterà lunedì. Stiamo rincorrendo il virus, dopo un’estate in cui probabilmente l’Italia pensava di esserne fuori, in cui c’è stata una minimizzazione sconsiderata di massa. Ma chi fa il nostro lavoro e guarda ai numeri e non poteva non pensare a una seconda ondata".

Forse non così, però.

"L’impatto è stato quasi peggiore: a primavera c’è stato il lockdown e andavamo verso l’estate, adesso guardiamo all’inverno, stagione delle patologie respiratorie. Non possiamo non essere pessimisti".

Eppure la Toscana è considerata regione ‘gialla’ dal decreto, ovvero con un quadro meno grave nella scala dei colori.

"Non mi riconosco in un decreto che tiene conto di ventuno elementi. Per arrivare a un’analisi applicabile i parametri devono essere pochi, a mio avviso posti ospedalieri, posti di intensiva, velocità di contagio e andamento della curva. Detto questo, comprendo anche le ragioni economiche: il Paese deve sopravvivere".

Però l’Empolese Valdelsa è una zona calda: è corretto?

"Per me è zona rossa. Lo dicono i numeri dei contagi, molto importanti e in crescita quotidiana, rispetto alla popolazione. E non ci sarà alcun miracolo a togliersi da questa situazione. Anche perché nonostante il gran parlare che si fa della pandemia, la gente non è preparata: ci sono semplici regole ma che vanno messe in atto".

Distanza sociale, uso delle macherine e igienizzazione delle mani?

"Le regole sono quelle e vanno osservate ovunque. Ma poi guardi una partita di calcio e vedi che dopo un gol si esulta abbracciandosi e buttandosi uno sull’altro. Fare così è pericoloso, dovrebbe essere proibito".