
di Bruno Berti
EMPOLESE VALDELSA
Nel settore dell’abbigliamento della nostra zona, quello che celebra i suoi fasti economici nel segno di sua maestà l’export, c’è un mistero che i sindacati sollevano da qualche tempo, magari dandosi anche qualche possibile soluzione. L’enigma è quello di un comparto industriale in cui crescono, e non di poco, i fatturati (sempre con particolare riguardo per le esportazioni) senza che l’occupazione aumenti. Ormai da qualche tempo scriviamo di diecimila addetti nel settore, un dato che probabilmente è anche un po’ ottimistico. Comunque si tratta di uno dei punti di riferimento negli undici comuni, chi più chi meno, della zona. Alla sede della Cgil i dirigenti della Filctem una risposta ce l’hanno.
"Nelle aziende del comparto - spiega Sergio Luschi – vediamo molta precarietà: si sfruttano le pieghe dei contratti per servirsi nella misura più elevata possibile dei contratti a tempo determinato o dei lavoratori somministrati, o interinali. E questa è una situazione che ci preoccupa, sia per la stabilità dell’occupazione sia per il futuro del settore". Luschi coglie un tema importante, visto che nel quadro c’è da mettere anche una carenza di personale, sottolineata molto spesso con forza dalle stesse aziende e dalle loro organizzazioni di categoria. "Noi –riprende il sindacalista – ci poniamo il problema del controllo delle filiere produttive", anche se il compito non è sempre semplice poiché, ormai da decenni le confezioni si usano i laboratori cinesi, quelli che spesso nel nostro Paese sono arrivati agli onori della cronaca per condizioni di lavoro invivibili. "Il ruolo degli immigrati orientali è importante, ma se veniamo a conoscenza di irregolarità, interveniamo". Però la Filctem deve fare i conti con lavoratori che non hanno fiducia nel sindacato, perché a casa loro le organizzazioni dei dipendenti servono più che altro a organizzare la produzione.
"Per combattere lo sfruttamento dei lavoratori potremo contare anche sul progetto Soleil, che vede in campo soggetti istituzionali, forze sociali e sindacato. Con esso si possono mettere in campo iniziative concrete per l’integrazione di chi esce dallo sfruttamento. Per capirsi, se il lavoro povero riguarda tanti italiani, figurarsi gli altri. Anche per questo il sindacato sostiene la necessità, specialmente in periodi di alta inflazione come l’attuale, di agganciare i salari alla dinamica dei prezzi". Nell’inflazione, per chiarezza, si devono considerare anche voci come quelle dell’energia elettrica e del gas. Ora i prezzi stanno scendendo, vero, ma bisogna considerare che dalla fine del 2021 abbiamo dovuto pagare fior di euro in più a causa di una situazione di mercato resa ancora più incandescente nel settore per effetto della ripresa post Covid prima e della guerra poi. Per avere un’idea, un lavoratore assunto regolarmente, inquadrato al terzo livello (quello di riferimento) nell’abbigliamento prende uno stipendio lordo mensile di 1.681,33 euro, che con la tassazione arrivano a poco più di 1.400 euro. Nelle calzature, sempre allo stesso livello in tasca entrano, al lordo, 1.691 euro, che per chi è impegnato nel cuoio e nella pelle toccano i 1.730 euro. Queste cifre possono subire una crescita in base ad accordi territoriali che risalgono addirittura agli anni ’70. Senza contare i contratti integrativi aziendali, che comunque sono decisamente rari, perché riguardano solo i grandi gruppi.