Mps, il blitz perfetto dietro l’ascesa di Mussari

Per il Monte la politica si tolse la maschera. Nel 2001 l’ala governativa dei Ds con la Provincia cala l’asso contro la presidenza dell’ex sindaco Piccini. La trattativa con Bnl e la rivelazione di Abete

Giuseppe Mussari

Giuseppe Mussari

Siena, 9 novembre 2021 - Formidabili quegli anni dal 2001 al 2006. Ogni cosa sembrava illuminata su Rocca Salimbeni. Fu il quinquennio in cui la politica si tolse la maschera e intervenne in maniera sfacciata (alla sua epoca la Dc era molto più discreta) nelle faccende del Monte dei Paschi, con interviste persino del segretario della federazione Ds Franco Ceccuzzi, sulla trattativa con Bnl. Che parlava in forza del titolo di ’azionista di riferimento’ di Comune e Provincia, che erano azionisti di controllo della Fondazione, proprietaria del 75% delle azioni della Banca. Chi altri avrebbe potuto parlare di una fusione tra due ex istituti di diritto pubblico?  

Sono tre le storie da ricordare. La prima fu l’acquisto di Banca 121. Dopo la quotazione in Borsa e l’acquisto della Banca Agricola Mantovana, che aveva permesso al Monte di stringere rapporti con i ’capitani coraggiosi’ Colaninno, Gnutti, Marcegaglia, il gruppo presieduto da Pier Luigi Fabrizi e con Divo Gronchi direttore generale, puntò Banca 121 per espandersi nel sud est e per immettere innovazione nel fare banca. C’è poco spazio per ricordare quella storia: rimandiamo agli interventi di Fabrizi e Gronchi su La Nazione Siena il 9 e 10 ottobre sull’affare 121. L’evento che cambiò la storia del Monte dei Paschi fu l’avvento di Giuseppe Mussari alla presidenza della Fondazione Mps il 1° agosto 2001. E anche qui lo spazio è tiranno, perché il racconto di quell’elezione è il copione del blitz perfetto, di un’operazione dell’ala governativa dei Ds e della Provincia di Siena, guidata da Fabio Ceccherini, che non voleva l’ex sindaco Pierluigi Piccini al vertice della Fondazione. Solo che bisognava disinnescare la maggioranza di 8 su 16 deputati generali designati dal Comune; tra i quali c’era anche Mussari, avvocato di fiducia di Piccini.

Dopo incontri segreti, viaggi romani, trattative febbrili, mentre l’ex sindaco si illudeva ancora di diventare presidente, in ossequio alla direttiva Visco che sanciva l’ineleggibilità di chi era stato alla guida di un ente nominante, di essere designato per almeno un anno, la deputazione generale elesse Giuseppe Mussari. Dopo un incontro al vertice tra l’allora sindaco Maurizio Cenni, il presidente della Provincia Ceccherini e il segretario dei Ds Ceccuzzi (che aveva definito il ministro Visco "il deputato di Guastalla"), dove si avallò la scelta. Anche perché l’allora presidente della Fondazione Giulio Sapelli, assieme al deputato Enzo Cheli, minacciò le dimissioni e lo spettro del commissariamento, nel caso si fosse insistito sulla candidatura di Piccini. Risultato? Mussari presidente e i 6 membri della deputazione amministratrice specchio fedele dello strapotere della politica sulla competenza per poter gestire la Fondazione più ricca d’Italia. I sei deputati erano gli ex sindaci Ds di Colle e Castelnuovo Berardenga Marco Spinelli e Luca Bonechi, l’ex segretario provinciale Cgil Fabio Borghi, il segretario provinciale Ppi Gabriello Mancini, il segretario provinciale di Forza Italia Fabrizio Felici e Alessandro Lastray, Rifondazione Comunista.

La prossima puntata tratterà della Fondazione.  

La trattativa con Bnl, dal 2001 al 2005, in due fasi, ha conseguenze più dirette sul futuro del Monte. La prima fase è aperta dai vertici del Monte nel consiglio a Fontanafredda, con l’annuncio dell’apertura del dossier. Sono in tanti a volere la fusione, si studiano concambi, alleanze, piani industriali. Bankitalia, con Fazio governatore, e il ministro del Tesoro Tremonti spinsero perchè la Fondazione scendesse al 20% del capitale di Mps-Bnl. Ma le resistenze di Siena furono tenaci e la trattativa fallì. A gennaio di quest’anno Abete, prima di lasciare dopo 23 anni la presidenza di Bnl, ha rivelato al Sole 24 Ore: "I colloqui erano andati molto avanti. Ma si bloccarono sulla richiesta di Mps di fare una integrazione a valori diversi e non alla pari. A impedire l’accordo fu anche la mancanza di intesa sulle posizioni future alla guida operativa. Per me voleva dire ri-pubblicizzazione, Mps all’epoca era controllato dal Comune attraverso la Fondazione, che voleva mantenere la minoranza di blocco". (3 - continua)