DAVID ALLEGRANTI
Cronaca

Stupri e torture in cella: “Il carcere è un luogo pericoloso”. Il giurista: come in Brasile 20 anni fa

Il filosofo del diritto Emilio Santoro: “La violenza è endemica, lo Stato non riesce a garantire la sicurezza”. Il sovraffollamento non è il solo problema. L’ora d’aria a 40 gradi è un forno crematorio

Emilio Santoro, filosofo del diritto, professore all’Università di Firenze

Emilio Santoro, filosofo del diritto, professore all’Università di Firenze

Firenze, 9 luglio 2025 – "Le carceri sono ormai un luogo pericolosissimo. Sono piazze di spaccio. Il sovraffollamento è soltanto uno dei problemi”, ci dice Emilio Santoro, ordinario di filosofia del diritto all’Università di Firenze.

Emergono violenze risalenti a diversi anni fa: 2020, 2023. Nemmeno il carcere è un posto sicuro. Non è assurdo?

“Che il rischio di violenza dentro il carcere ci sia è fisiologico. Ma se c’è un posto in cui lo Stato dovrebbe avere il controllo assoluto è dentro il carcere. Che uno Stato non sia in grado di garantire la sicurezza ai detenuti è un fallimento. Venticinque-ventisei anni fa, quando facevo ricerca sulle carceri brasiliane, mi è capitato più volte che il direttore dovesse andare a parlare con i capi dei clan per garantire la mia sicurezza. Nelle carceri brasiliane non mi succede più, invece mi accade ancora in alcune favelas, quando entro con gli operatori sociali. Quantomeno lo Stato brasiliano negli ultimi vent’anni ha recuperato il controllo degli istituti penitenziari".

guzzi Monza Caldo carcere
Violenze nelle carceri

Le carceri italiane come quelle brasiliane di vent’anni fa?

“Esatto. E se un procuratore della Repubblica dice che le carceri non sono luoghi sicuri vuol dire che lo Stato è allo sbando. Bisogna dare un grande merito al dottor Tescaroli, che è quello di voler trattare i detenuti non come cittadini di serie B la cui incolumità non ci interessa. Se le procure si mettessero a fare inchieste a tappeto dentro le carceri emergerebbero violenze dappertutto. C’è una violenza endemica, fuori controllo. Tescaroli ha voluto vedere con i propri occhi se lo Stato è in grado di garantire l’incolumità dei detenuti. D’altronde, se ci fosse una violenza endemica per le strade, chiunque andrebbe a indagare”.

Dentro le carceri invece non diamo peso a quel che accade.

“Le rivolte del 4 giugno e del 5 luglio dicono che l’aggravio della pena per la resistenza al pubblico ufficiale e per la resistenza resistenza passiva non sono gli strumenti di governo del carcere. Non è che se io, detenuto, prendo un anno-due anni in più non commetto più resistenza al pubblico ufficiale o non aggredisco la polizia penitenziaria. Anzi: il rischio è che l’aggredisca più violentemente, perché a quel punto la differenza della pena diventa irrilevante. Pensare di governare un posto dove tu, Stato, dovresti avere il controllo assoluto, con l’aggravio dei reati, serve solo a rendere più barbarica la vita lì dentro”.

S200_EMILIO.SANTORO
Emilio Santoro, filosofo del diritto, professore all’Università di Firenze

Il sovraffollamento quindi non è il solo problema del carcere.

“A Prato non è l’elemento principale, anche perché il sovraffollamento alla Dogaia è al limite. Quel limite assurdo sancito dai 3 metri calpestabili per ogni detenuto. Ma una vita di 20 ore su 24 dentro una cella in cui hai 3 metri a testa calpestabili e in mesi come questi, in cui sono quasi 40 gradi, è infernale. L’ora d’aria dalle 2 alle 4 di pomeriggio in un cortile di cemento diventa il soggiorno in un forno crematorio. Per questo nessuno va a fare l’ora d’aria e i detenuti stanno in cella 24 ore su 24”.

L’associazione che ha fondato, Altro Diritto, è stata nel carcere di Prato?

“Da un mese e mezzo gli agenti ci dicono – come un tempo nelle carceri brasiliane – che non possiamo entrare in nessuno dei quattro piani della media sicurezza perché non sono in grado di garantire la nostra incolumità. Una nostra operatrice, dopo aver aspettato un paio d’ore per vedere se la situazione migliorava, se n’è andata perché c’erano 38 gradi e stava svenendo per il caldo. In un altro carcere non hanno comprato dei ventilatori perché avevano paura che potessero essere usati come arma. Questo significa che lo Stato è talmente non in grado di governare un carcere che come conseguenza non riesce a garantire una vita minimamente dignitosa ai detenuti”.