
Shkelzen Hasanaj, sociologo, dottore di ricerca e docente universitario
Pisa, 15 maggio – «Ho trovato un portafoglio per strada e, anziché essere messo nelle condizioni di restituirlo facilmente, mi sono ritrovato sottoposto a un controllo sui miei documenti e trattato con sospetto. Solo per via del mio nome e cognome». A raccontare l'episodio è Shkelzen Hasanaj, sociologo, dottore di ricerca e docente universitario dell’’Università degli Studi Internazionali di Roma, e già membro della segreteria del Partito Democratico di Pisa. Il fatto è accaduto nella tarda mattinata di domenica 11 maggio, intorno alle 12:30, nei dintorni della stazione ferroviaria di Pisa, in via Colombo. Hasanaj, cittadino italiano a tutti gli effetti – come riportato anche sulla sua carta d’identità – si è imbattuto in un portafoglio smarrito contenente documenti, carte di credito e patente. «Mi sono immediatamente rivolto al primo presidio delle forze dell’ordine, dove erano presenti alcuni militari – racconta Hasanaj –. Mi hanno spiegato che non potevano prendere in consegna il portafoglio e mi hanno invitato a recarmi alla Sesta Porta, a circa un chilometro di distanza, dove si trova il comando della polizia municipale di Pisa. Mi è stato anche detto che un’altra persona, poco prima, aveva trovato lo stesso portafoglio, ma aveva rinunciato a consegnarlo per via della distanza con il comando della municipale, e dunque lasciandolo lì dov’era». A quel punto Hasanaj ha deciso di rivolgersi direttamente alla Polizia Ferroviaria. È qui, però, che la situazione si è complicata. «Mi è stato chiesto il documento e, appena letto il mio nome, anche il permesso di soggiorno, nonostante fosse ben visibile la mia cittadinanza italiana – spiega –. Invece di verificare quanto segnalavo, si sono concentrati a lungo solo sui miei dati personali» denuncia il docente. Una prassi che, secondo Hasanaj, solleva numerosi interrogativi non solo sull’efficienza del sistema della riconsegna di documenti ed effetti personali smarriti, ma anche sul
trattamento riservato a chi, pur avendo cittadinanza italiana, porta un nome straniero. «Non voglio pensare che questo accada solo a me – aggiunge – ma mi chiedo perché chi vuole fare una cosa giusta venga messo in difficoltà in questo modo. Non basterebbe una foto del documento, come
avviene in altri contesti, per accertare l’identità? Perché – si chiede infine Hasanaj -, chi trova e vuole restituire un oggetto smarrito deve essere messo in difficoltà, e quasi
trattato con sospetto?».
Enrico Mattia Del Punta