PIER PAOLO CIUFFI
Cronaca

Tre religiosi lasciano l'abito talare. In Umbria il sacerdozio cede all’amore terreno

La vicenda dei tre preti nella regione dove la religiosità ha visto nascere santi e misticismo

Don Samuele Biondini (a sinistra) e Don David Tacchini

Perugia, 17 maggio 2021 - D’accordo. Rubrichiamole come eccezioni: la grande maggioranza dei sacerdoti continua ad abbottonarsi la tonaca tutti i santi giorni senza sbagliare nemmeno un’asola, o a indossare il clergyman e stare in mezzo ai fedeli senza mai farsi attraversare da un dubbio che sia uno sulla vocazione e sul celibato.

Ma sarebbe un errore sottovalutare il segnale che arriva dalla benedetta terra umbra dove tre preti, in un breve volgere di mesi, hanno deciso (con sofferenza sì, ma anche una risolutezza che molti fedeli hanno chiamato coraggio dell’onestà) di abbandonare l’abito talare. Per amore.

Don Samuele Biondini (a sinistra) e Don David Tacchini
Don Samuele Biondini (a sinistra) e Don David Tacchini

Le defezioni di don Riccardo, don Samuele e del suo vice don David pongono d’improvviso molte domande sul ruolo che i sacerdoti sono sempre chiamati ad affrontare: essere al servizio di tutti, a tempo pieno, e trovarsi costretti all’ossimoro della convivenza con una canonica vuota, con la sua silenziosa solitudine.

Non tutti, nell’anno di grazia 2021, riescono a praticare la disciplina di una vita votata esclusivamente a Dio. Forse il muro del celibato sembra oggi troppo alto. Oppressivo. Segnali dall’Umbria. Terra che - al di là di domestiche tebaidi di ruvidi anacoreti di Valnerina, nei primi secoli di una fede striata di asciuttezze orientali - ha presto virato il propio Credo verso la più generosa via del contatto.

Una carità che fosse rapporto fra le persone. Non a caso San Benedetto - che respirò l’aria di Norcia - creò il cenobio per mitigare i rigori dell’eremo (nella certezza che il rapporto quotidiano tra le persone portasse frutti meno aspri di quelli cui erano avvezzi i palati degli stiliti).

La sua Regola è un inno all’umiltà, e alla possibilità di ascoltare non solo Dio ma anche gli uomini, un’esortazione al fare, oltre che al pregare. Con i monaci chiamati a essere, l’uno per l’altro, appoggio e cura. Voci amiche, anche nei dubbi. E in tutta l’Umbria continua a fluire da secoli un’attitudine francescana al dialogo, un’apertura al mondo che vibra nell’aria (in modo forse non esplicito ma potente) e crea inclinazioni, contatti tra i cuori. E segna – inconsapevolmente, anche – persino un certo modo di percorrere la via del sacerdozio.

È una terra, quella umbra, percorsa da sempre, dall’ansia della carità. O Carità, con la maiuscola. Che delle virtù teologali è quella più calda, più febbricitante, forse la più profondamente umana nel proprio impeto, nel non tener conto dei giudizi del mondo. Carità che è – certo – Amor Dei , ma anche amore per le sue creature, come cantava il Santo serafico.

Magari amore per una in particolare, tra le molte incontrate da chi è chiamato alla cura delle anime. Un’anima che ha un volto, quel volto. Don Riccardo, don Samuele e don David hanno praticato, per anni - lo proclamano i fedeli e lo ammettono i pur frastornati vescovi di Todi e Città di Castello - una carità continua e senza risparmio, fatta di ascolto, vicinanza e opere per chi ne aveva bisogno. Ora hanno scelto, dopo una battaglia interiore che (parole loro) è costata lacrime, un amore più diretto, "scandaloso", con una singola persona.

Tu chiamale, se vuoi, fragilità. In una terra percorsa - innervata - dalla santa follia della caritas , l’amore pare non aver paura di prendere strade impervie, incomprensibili a molti, ma Dio solo sa quanto sbagliate. Il suo vicario sulla terra (venuto a Roma "quasi dalla fine del mondo", da un continente che di preti ‘sposati’ ne sa qualcosa) ha accettato le loro richieste. D’altra parte gli angeli più vicini a Dio non sono i sapientissimi cherubini ma gli amorosissimi serafini, rosseggianti come una fiamma, un cuore.