"La mia margherita servita al tavolo nella pizzeria che resiste al governo"

Firenze, il nostro giornalista a cena da Tito. "Non diffondiamo il Covid, per farci chiudere chiamino l’esercito"

Pizzeria Tito aperta nonostante il Dcpm

Pizzeria Tito aperta nonostante il Dcpm

Firenze, 12 novembre 2020 - «Vuole un po’ di mozzarella di bufala sopra?». «No, grazie, va bene così». «Come le sembra la pizza?». «Francamente strana». «Strana?». E come dovrebbe sembrami? Tutta Firenze è intabarrata nel coprifuoco, ristoranti e bar da ieri mattina hanno le saracinesche abbassate, il quartiere tutt’attorno è depurato di vita e io, alle 20 e 30 beatamente seduto a un tavolo apparecchiato sto addentando una pizza margherita insieme ad altri tre avventori che, nei tavoli accanto, fanno la stessa cosa, provando probabilmente la stessa sensazione che gli americani devono aver provato bevendo alcool nei bar fuorilegge al tempo del proibizionismo.

«Strana ma almeno buona?», chiede allora lui. «Sì, buona», concedo, anche se questo mi sembra l’ultimo dei dettagli significativi di questa serata insolita, un po’ carbonara un po’ surreale. Lui si chiama Mohamed “Momo“ El Hawi, ed è proprietario di tre ristoranti a Firenze tra cui “Tito“ in via Baracca, quello dove stasera mi siedo con fare clandestino a verificare di persona se è vero ciò che da giorni circola sul web. Ovvero che, nonostante i divieti imposti dal governo, lui abbia deciso di sfidare il mondo servendo pizze e primi ai tavoli fino alle 22.

La margherita davanti a me, nel caso, è la pistola fumante, la prova provante del delitto consumato. «Guardi – dice semplicemente Momo – noi rispettiamo tutte le norme che ci sono state chieste, rispettiamo le distanze, non più di 4 persone ai tavoli, perché non dovremmo tenere aperto?». Magari perché lo stabilisce una norma con la quale il governo tenta di arginare una pandemia mostruosa che, di giorno in giorno, miete vittime anche a Firenze.

Ma lui sulla vicenda ha un altro punto di vista: «Questa estate facevamo 200 coperti tutte le sere con le regole di sicurezza adottate: le risulta ci siano stati focolai nei ristoranti? Basta criminalizzare la nostra categoria. Non siano noi a diffondere il covid. E poi Io ho sulle spalle 50 dipendenti che credono in me, come faccio a chiudere? E alle loro vite chi ci pensa?».

Così anche se da ieri tutta la Toscana è zona arancione con l’obbligo per tutti i ristoranti di tenere chiuso, lui continua a servire le persone al tavolo fino alle 22. Dice che anche altri in Italia in queste ore lo stiano facendo («Alcuni li conosco personalmente»). Ma lui è l’unico a dichiararlo pubblicamente sul web e a metterci la faccia. Per questo, racconta, arrivano anche da fuori Firenze a mangiare la pizza da lui rischiando la multa: «Non so se sono incoscienti o solo benestanti, per me solo “la nuova Resistenza“». Momo il fiorentino, un ribelle? Un provocatore? Un irresponsabile? Di certo non un negazionista: «Mio padre Tito è stato 21 giorni in terapia intensiva e mia madre ed il sottoscritto chiusi in casa a marzo durante il periodo peggiore. Isolati. Mai detto che il problema non esiste ma che non si risolve in questo modo, chiudendo l’attività alle persone che hanno sempre rispettato le regole».

Il suo modo di fare, ovviamente, ha diviso Firenze. Sulla pagina web della pizzeria gli applausi e i consensi («Bravo, sei un esempio, vai avanti») si contrappongono agli attacchi: «Devi seguire le regole, la vita di tanta gente vale di più del tuo esercizio, fattene una ragione», gli ha scritto uno. E un altro: «Io sono cuoco, devo ancora avere la cassa integrazione, lo stesso non ti condivido, così non se ne esce».

Ma lui non molla, figurarsi: «Quelli che mi odiano sono quelli con gli stipendi sicuri», taglia corto. E per questo va avanti senza ondeggiare. Anzi. L’altro ieri nel suo locale si sono presentati due agenti della polizia municipale in borghese («Sono stati gentilissimi») e gli hanno spiegato che ovviamente non poteva tenere aperto, elevandogli una multa di 400 euro e imponendogli la chiusura di un giorno del locale. Lui ha obbedito. Ha pagato la multa in versione ridotta, 280 euro, ha tenuto chiuso un giorno, ma il giorno di poi ha riaperto: «Io ho una dignità e una coscienza, a differenza di questo governo che impedisce alla gente di lavorare chiudendola in casa, allora io la notte voglio dormire sereno senza sensi di colpa verso i miei collaboratori».

Certo, ora sa di rischiare grosso. Dovessero tornare gli agenti, la chiusura stavolta sarebbe di 30 giorni e la multa fra gli 800 e i 3.000 euro. «Se vengono pagherò tutto, ma io questa battaglia non la mollo salvo una condizione». Quale ? «Che stavolta il governo onori gli impegni e faccia arrivare i ristori entro il 15 novembre. In quel caso chiudo anche io». E in caso contrario? «Per farmi chiudere devono mandare l’esercito».