
Punti di intervento rapido, la sperimentazione in Toscana
Firenze, 1 maggio 2025 – I Pir, i punti sanitari di intervento rapido che la Toscana sta sperimentando, non stanno dando i risultati sperati. In quasi cinque mesi di attività, gli accessi complessivi sono stati 4.093. Di questi, 1.347 (32,91%) sono stati ad accesso diretto, 1.169 (28,56%) con richiesta del medico di famiglia. Solo lo 0,34% è passato dal numero unico 116117 della guardia medica. Il Pir di Torregalli da solo rappresenta il 37,5% degli accessi complessivi: 1.535. Un dato che la dice lunga. Dove il servizio è davvero accessibile e senza filtri, la risposta c’è.
La sperimentazione partita con sei ambulatori nei territori dell’Asl Toscana centro il 4 dicembre 2024 si concluderà il 4 giugno prossimo. Solo a quel punto sarà tirata una riga per fare una valutazione complessiva che non potrà fare a meno di tenere conto che gli unici punti che hanno davvero funzionato sono quelli ad accesso diretto, ovvero senza la richiesta del medico di famiglia.
I Pir sono stati realizzati con lo scopo principale di alleggerire i pronto soccorso sovraccarichi di casi ambulatoriali che potrebbero essere curati altrove e per fornire una risposta alla richiesta di salute dei cittadini in un momento di necessità.
Il progetto si articola in tre modelli. Quattro dei sei Pir sono inseriti all’interno delle case della comunità: a Sovigliana (Vinci), a Pistoia (all’ex ospedale del Ceppo), alle Piagge (Firenze) e al Centro Est di Prato. Ci si può fare un elettrocardiogramma, un’ecografia, analisi del sangue, emogasanalisi. Una bella offerta, sulla carta. Ma per accedere serve la richiesta del medico di famiglia: se non si trova o se succede qualcosa il sabato e la domenica il rischio è di finire comunque in pronto soccorso.
Gli altri due modelli hanno caratteristiche diverse. A Figline Valdarno, all’ex centro medico avanzato ed ex punto di primo soccorso dell’ospedale Serristori, il Pir è a accesso diretto. Basta presentarsi: nessuna ricetta, nessun passaggio burocratico. Lo stesso vale per il Pir attivo di fianco al pronto soccorso dell’ospedale di Torregalli, a Firenze: lì, dopo il triage infermieristico, per casi lievi il cittadino può scegliere se spostarsi all’ambulatorio.
Comunque vada, non si tornerà indietro. Il percorso è tracciato e il modello di sanità territoriale che si sta ridisegnando prevede una maggiore presa in carico dei cittadini da parte delle case della comunità.
Ma i numeri danno ragione all’accesso diretto. A marzo, il Pir del Serristori i ha visitato in media 8,6 persone al giorno. A Torregalli, il più utilizzato, si arriva a 11,4 al giorno. Sono numeri troppo piccoli per un sistema che dovrebbe fare massa critica.
Anche se la tendenza è in lieve crescita: complessivamente c’erano stati 505 accessi a dicembre, 877 a gennaio, 870 a febbraio, 976 a marzo, 865 ad aprile (fino al 28, considerando i festivi). Ma non basta. Se l’obiettivo principale era quello di attenuare la pressione sui pronto soccorso non ci siamo.
I numeri mettono in evidenza un dato chiaro: i servizi funzionano se il cittadino può accedervi senza ostacoli. La mediazione del medico di famiglia, in questo contesto, rischia di diventare un freno. E se nei giorni festivi i Pir sono chiusi, si taglia fuori proprio la fascia critica della domanda sanitaria non urgente.
Sicuramente è mancata - volutamente - anche una campagna d’informazione. Molti cittadini non conoscono l’esistenza dei Pir. L’Emilia Romagna che era partita un anno prima con un progetto analogo anche se con nome diverso (Cau), sta tornando sui suoi passi. Nonostante nei primi quattro mesi di attività i Cau avessero contato oltre 66mila accessi, facendo osservare in parallelo una diminuzione di quelli ai pronto soccorso: meno 15,5% di codici bianchi e meno 9% di codici verdi rispetto allo stesso periodo del 2019 (prepandemia).