OLGA MUGNAINI
Cronaca

Sgarbi: "Il Pecci si può salvare. L’arte contemporanea non va chiusa nel ghetto"

“No a iniziative ristrette e pensate per un’élite che oltretutto non mette i soldi"

Il museo Pecci
Il museo Pecci

Prato, 10 settembre 2023 – «Io l’avevo detto che così non poteva andare, ma non mi hanno voluto...". Da sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi ricorda ancora la sua candidatura a direttore artistico del Museo Pecci di Prato.

Era il 2014 e aveva partecipato alle selezioni, ma il suo nome fu bocciato per di incompatibilità con altre cariche. All’epoca non la prese bene, perché a suo avviso gli ostacoli si potevano arginare benissimo.

Urlò ma lasciò perdere, e si consolò con altro, visto che da allora ha collezionato tanti altri incarichi, fra cui direttore del Mart di Rovereto, presidente della Fondazione Ferrara arte, del Mag di Riva del Garda e della Gypsotheca del Canova, sindaco da una parte, assessore dall’altra. Oltre che, appunto, sottosegretario alla cultura.

Vittorio Sgarbi, il Pecci continua ad avere molte difficoltà. Che soluzioni s’immagina?

"Io fui chiamato dal sindaco Roberto Cenni a partecipare alla selezione per direttore artistico, ma poi per una serie di stupidità non se ne fece di nulla. Io dico che prima di tutto si chiama ’Pecci’, il nome di un privato, ed è dai privati che dovrebbe essere sostenuto. Certo, con una politica integrata insieme alle istituzioni, ma che evidentemente non è riuscita".

Cosa è mancato?

"Se fai cose che sono un’idea di arte contemporanea ristretta, chiusa in un ghetto, non vai da nessuna parte. Io ieri, ad esempio, presentavo a Ferrara un’iniziativa su Linus. E non c’è niente di strano, perché il fumetto non è un’arte inferiore alle altre. Va bene anche la sperimentazione,ma io ricordo di essere venuto qualche anno fa a Prato per quell’installazione Cloaca Maxima del belga Wim Delvoye con la macchina che produceva escrementi... Era una di quelle cose che sembrava fatta apposta per respingere il pubblico".

Beh, ma il Pecci è comunque un centro d’arte contemporanea e dovrebbe guardare in quella direzione.

"Certo, ma io per esempio al Mart ho portato anche Caravaggio, Botticelli, Raffaello, Klimt, Boldini, per tentare di far dialogare l’antico e il contemporaneo. La grande arte c’è anche a Prato. Non si può pensare di essere a New York, con iniziative ristrette e pensate per un’élite che oltretutto non mette neanche i soldi. Sono anni che io non vedo una mostra che mi attragga al Pecci. Come non ricevo inviti o sollecitazioni a venirci".

Parlava di soldi da metterci.

"Il problema è trovare un equilibrio tra i costi e i ricavi. E si può fare. A Firenze c’è una persona come Sergio Risaliti che ha preso il Museo Novecento, che era morto, e lo ha fatto rivivere. Ha fatto mostre importanti, con accostamenti fra antico e moderno, come Jenny Saville e Michelangelo. Quella è una strada".

Lei andrebbe ora a fare il direttore o il presidente al Pecci?

"Il presidente potrei farlo perché non è pagato e non ci sono limiti. Il direttore invece, come sottosegretario, credo di no. All’epoca poteva avere un senso, il sindaco Cenni aveva capito che serviva linfa nuova, ma ci furono troppe polemiche".

Il primo direttore del Pecci, nel 1988, fu il grande Amnon Barzel.

"Me lo ricordo bene, era mio amico. Beh, erano altri tempi".