PIERO CECCATELLI
Cronaca

Paolo Rossi, campione durante l'età dell'oro di Prato

La gioia incontenibile sotto la casa del bomber a Santa Lucia suggello di un periodo di lavoro, benessere, elevati consumi. Dalla moneta coniata dalla Cap all’indomani della finale alla festa con lui, in piazza del Comune e alla Cassa di Risparmio

Cortei di tifosi di fronte a casa di Paolo Rossi, dopo la vittoria sulla Germania

Prato, 11 dicembre 2020 - Il ricordo di Paolo Rossi è una pedalata a perdifiato nel viale Galilei al termine di Italia-Brasile. Una corrente impazzita di auto, motorini, camioncini imbandierati viaggiava in quella direzione. Come un pesce che si aggiunge al branco, la seguii in bici, uscendo dalla redazione della Nazione dove, per pura scaramanzia, ero stato reclutato a vedere la partita. Centinaia di persone stordite dai clacson, convergevano a Santa Lucia, via Fucini, la casa di Paolo Rossi che aveva appena abbattuto il Brasile con tre gol. La villetta dov’era nato, assediata da una folla in delirio. Chi scavalca il cancello, chi prende un pugno di terra dal giardino e se lo caccia in tasca, chi bussa implorando un cimelio, una maglietta, un calzino purché del dio pagano di cui si sta scalando il tempio. Vittorio e Amelia Rossi, stremati si affacciano alla finestra, col tricolore in mano. In apparenza, più storditi che felici. Qualcuno, uscendo dal circolo annuncia dieci macchine in arrivo da Arezzo. Dettai un pezzo al giornale e il dimafonista di una città lontana lo firmò Paolo Ceccatelli. Giuro di aver scandito il mio nome correttamente, ma ormai il contagio era totale. Tutti erano “paolorossi“, tutta Italia era Santa Lucia. Impossibile ricordare tanto delirio spontaneo per un solo uomo, nel Paese.

Men che mai a Prato, all’epoca straordinaria macchina avveratrice di sogni. Chiunque aprisse un’azienda faceva soldi, chiunque cercasse lavoro, lo trovava. Perfino nel pubblico, elefantiaco allora come oggi, Prato costruiva il depuratore quattro anni dopo la legge che ne istituiva l’obbligo. E tirava su l’interporto, i macrolotti. Al Metastasio, dopo Strehler transfuga da Milano per allestire Brecht, era arrivato Ronconi, che accese il Fabbricone, il Magnolfi. E spuntò il Living Theatre. Un industriale annunciava il dono - rileggere bene: il dono - del museo di arte contemporanea. Edificò anche il resto, ma quanti lo fanno, senza donare nulla? Pareva che Aladino avesse disseminato la città di lampade magiche. Ognuno trovava la propria. I concessionari pratesi vincevano premi aziendali per incrementi di vendite. Fiat, Mercedes, Volvo e Volkswagen. Nel calcio ci saremmo accontentati della serie B, ma non era tempo da mezze misure e Aladino ci donò Paolo Rossi, il campione rapito da Prato appena adolescente per fare fortuna nella concorrenza tessile del Veneto. Esplose infatti nel Lanerossi Vicenza lui, di Santa Lucia, a due passi dal Fabbricone, dai lanifici Balli e Ricceri. Rossi a Vicenza: bravo, ma un po’ figliastro; Rossi, che proprio a Prato troverà l’uomo che ne chiederà l’"ergastolo calcistico": il presidente del tribunale Corrado De Biase, era anche capo ufficio inchieste della Federcalcio e in tale veste chiese la pena massima per le scommesse. Paolo, da innocente, ebbe due anni di squalifica. Prato assistette silente e distratta. In via Migliorati, davanti al tribunale, neanche una scritta col gesso contro lo scempio di togliere al pallone un asso del genere.

I gol al Brasile riconciliarono la città e il suo campione. Il giorno dopo la finale con la Germania, la Cap coniò un gettone che sostituiva le 100 lire per pagare la corsa sul bus, dedicato al mondiale vinto. Rossi batteva tutti, Prato batteva moneta. La città si trovò in casa il pallone d’oro. E contava un uomo in campo in tre delle ultime quattro finali dei campionati del mondo: gli altri sono Mario Bertini nel ‘70 contro il Brasile e Sergio Gonella, direttore della filiale della Banca Commerciale in piazza San Francesco che arbitrò Argentina-Olanda, mai del tutto chiarita finale del mondiale ’78. Con le sue imprese, Rossi inaugurò l’elenco dei pratesi che vincono nel loro campo e la città non mette quei successi abbastanza a frutto. Dopo di lui, Benigni con l’Oscar, i premi Strega di Veronesi e Nesi. Però nessuno, fuori, considera Prato per il calcio, il cinema, la letteratura. Oggi, la si considera quasi soltanto per i cinesi.

Rossi resterà conosciuto e amato, a Prato e non solo, anche quando i suoi muscoli saranno piu deboli e far gol non più così naturale. Negli stessi anni in cui Paolo calava, Prato conoscerà la prima di una serie di crisi: Aladino aveva preso altre strade. C’è un simbolo beffardo, nel declino. Dopo il mondiale Rossi venne a farsi festeggiare (immaginate, oggi, Cr7?) nella sua città, in palazzo comunale, poi sulla scalinata di Palazzo Pretorio. Prima, passò dalla Cassa di Risparmio, al Pino, in un auditorium trasformato in stadio. Migliaia a premere, trecento fortunati ammessi. Lui, rivelatosi a Vicenza, celebra l’apoteosi nella banca che a Vicenza molti anni dopo vedrà segnata la sua tormentata fine. E oggi che Paolo se n’è andato, al posto di quella banca è annunciata una birreria.

Siamo più poveri e più soli. Ci consola esser stati la culla del calciatore che più di ogni altro ha fatto delirare e sognare l’Italia, un pomeriggio che ricorderemo per sempre. E quattro giorni dopo, battendo la Germania lo realizzò, quel sogno. Eroe normale, garbato, cortese, misurato. Per il quale non è necessario discernere la vita privata da quella pubblica, come di recente il mondo ha fatto per Maradona. Maradona, irrazionale come Dioniso, Paolino lucido e astuto come Ulisse, ma solo in battaglia.

Ora Prato gli dedichi un pezzo di città, meglio lo stadio che col suo nome avrebbe un motivo in più per non restare vuoto. Perché se non ne avrà le spoglie (le ceneri saranno custodite dalla moglie Federica) Prato dovrà portare per sempre il ricordo di un uomo che un giorno regalò agli altri uomini la cosa più bella: la felicità.