Spezi, le tesi sul Mostro e quel viaggio in Sardegna

Il ricordo di Mario Del Gamba

Da sinistra Antonio Lovascio e Mario Spezi (Pressphoto)

Da sinistra Antonio Lovascio e Mario Spezi (Pressphoto)

Firenze, 29 giugno 2021 - Il momento imperante dei ricordi di quando per anni ho lavorato (e indagato) fianco a fianco con Mario Spezi è legato ovviamente al laborioso e tormentato periodo delle indagini sul mostro di Firenze. Un periodo in cui Firenze e la Toscana vivevano nell’incubo dell’imprendibile e misterioso serial killer che si trascinava dietro una tragica scia di giovani vittime. Un bilancio che in realtà sarà poi aggravato da altri cinque delitti e tre suicidi (questi ultimi dovuti al clima di sospetti che imperversavano in quei giorni, specie nei paesi in cui tante persone puntavano il dito accusatorio su individui del tutto estranei alla vicenda ma che, oppressi da intimidazioni o da accuse più o meno palesi, si tolsero la vita).

Dapprima io e Mario Spezi, d’accordo anche con il nostro direttore, simulavamo un contrasto netto sull’esito delle rispettive indagini: io allineato con l’inchiesta condotta dal capo della procura Pierluigi Vigna e dal sostituto Paolo Canessa, in cui venivano accusati Pietro Paccciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, tesi che il collega Spezi respingeva sviando i suoi sospetti sul figlio di uno dei protagonisti della ristretta cerchia di personaggi coinvolti nel primo degli otto duplici omicidi del “Mostro” e che risale al 21 agosto 1968, in cui fa la sua tragica comparsa l’arma di tutti i delitti, la Beretta calibro 22.

Di certo è che Mario Spezi si era ormai convinto che per risalire al pluriassassino bisognava insistere a battere la pista sarda che per anni aveva fatto da comprimaria nell’inchiesta. Una pista questa che ci aveva portato insieme in Sardegna quando il più sospettato dei sardi, Salvatore Vinci, fu processato per aver ucciso alcuni anni prima la moglie Barbarina Steri simulandone grossolaneamente (secondo l’accusa) il suicidio. Il 18 aprile 1988 Vinci fu assolto e questa sentenza contribui ad allargare la disparità di convinzioni sul proseguire a battere la pista sarda anche dopo che insieme, durante una pausa del processo, ci eravamo recati a Villacidro, paese natale di Vinci, indagando parallelamente sui trascorsi dell’imputato. Da quel momento le nostre strade si divisero completamente anche perché Spezi lasciò il giornale e si dedicò alla sua vera tendenza naturale di brilante scrittore di “gialli”. Il che non gli impedì di seguire l’inchiesta sul “Mostro” anche perché, successivamente, ne fu brutalmente coinvolto per un macroscopico errore giudiziario. Superata questa brutta parentesi Spezi si dedicò nuovamente all’inchiesta del serial killer e da qui nacque il fortunato romanzo “Dolci colline di sangue” di cui è stato coautore il collega americano Douglas Preston. Purtroppo Mario non c’è più e non potrà godersi la finale del suo racconto-realtà.