
Piotta, pseudonimo di Tommaso Zanello, 52 anni, è un rapper e produttore discografico
di Lorenzo Ottanelli
Trent’anni (di musica) e non sentirli, tra perdite, la storia, il racconto di un’infanzia in una Roma degli anni di Piombo. E ancora Roma, la sua Roma, che gli ha dato il nome, che lo ha cresciuto. È qui che è nato Piotta, tra quei miti della scena hip hop che hanno inventato il rap romano. C’è tutto questo stasera (ore 21,30) sul palco dello Stella Rossa Fest ai giardini dell’SMS Rifredi.
Cosa dobbiamo aspettarci?
"Sarà un viaggio a ritroso, dai brani più recenti a quelli degli esordi. Parto dall’ultimo album ‘La scuola romana’, passo per ‘Na notte infame’, attraverso il romanzo ‘Corso Trieste’ e ancora indietro. Una serata di musica, parole e immagini, per far coesistere una parte estetica e una emotiva".
Sul palco i brani de ‘’Na Notte infame’, dedicato a suo fratello, venuto a mancare qualche anno fa. E insieme il romanzo ‘Corso Trieste’. Ce li racconta?
"È stato il mio unico fratello, di dieci anni più grande. Mi ha raccontato una Roma, quella alternativa, che non conoscevo. Mio fratello Fabio era scrittore, di saggi, con qualche incursione nella narrativa, raramente parlava di sé e della sua generazione. Ho trovato, però, tante pagine inedite, autobiografiche, che raccontavano la sua adolescenza, il punk, le droghe. Io ho risposto con il mio memoir, di me bambino, quando lui era adolescente, dal 1975 al 1995, in mezzo agli anni di Piombo. Tra le vicende, i Nar, davanti agli occhi di mio fratello, uccidono Francesco Evangelista. Io, invece, ero in classe con il figlio di Evangelista. Ma a sette anni non capivo, sembrava solo che casa fosse la pace e fuori la guerra".
Una carriera di oltre 30 anni, com’è questo traguardo?
"Mi riempie di orgoglio per il coraggio nell’insistere pur avendo davanti il buio. E a 50 anni faccio musica diversa rispetto a quella che facevo a venti, ma uguale per onestà intellettuale. Oggi mostro il mio lato più fragile, continuo a essere Piotta, ma sono Tommaso in tutte le canzoni".
E nel 2004 ha partecipato a Sanremo, un palco non facile...
"Non era facile né previsto. Ho provato perché stavo facendo un cambio di etichetta. Però la vita non mi ha riservato un momento facile, perché in quel momento mia madre ha scoperto una malattia a uno stato avanzato. Al tempo non lo resi pubblico, non volevo che diventasse gossip".
L’ultimo disco, invece, è ‘La scuola romana’, la colonna sonora di un documentario sulla capitale. Un modo diverso di guardare Roma rispetto a Suburra?
"È proprio così, l’ho fatto con molto piacere, con Marco Spagnoli, che ama molto la musica, poi perché il Virgilio di questo documentario è Carlo Verdone. Infine, perché se l’oscurità è Suburra, la luminosità è ‘La scuola romana’. E Roma è l’unione delle due facce".
Un inizio con i Cor Veleno e i Colle der Formento. Perché sono così importanti quegli anni?
"Sono gli esordi dell’hip hop italiano. E poi sono i miei vent’anni, dove hai tutto il potenziale davanti agli occhi, mentre quando cresci sei tutto quello che sei diventato e non quello che potresti ancora essere".