REDAZIONE CRONACA

Il Puccini segreto nel libro di Sessa

Dall’archivio Antinori 161 lettere inedite. Il volume sarà presentato il 5 dicembre a Lucca

Il libro di Maurizio Sessa

Firenze, 1 dicembre 2019 - Dopo “La sciabola e la zappa”, opera che consente di scoprire pagine inedite dell’eroe Giuseppe Garibaldi, che ha richiamato l’attenzione di accademici, storici e ricercatori, Maurizio Sessa dà alle stampe un nuovo appassionante libro. Ancora un tuffo nella storia tutto da vivere, e ancora una volta pagine inedite, tutte da scoprire. S’intitola “Andrò nelle Maremme. Puccini a caccia tra Bolgheri e Capalbio. Lettere al conte Giuseppe della Gherardesca e al marchese Piero Antinori”, Pacini Fazzi Editore.

Un corpus epistolare decisamente interessante, che offre uno sguardo inedito su rapporti d’amicizia e stile di vita di Puccini. Un’opera preziosa e di raro pregio, con un ricco corredo fotografico,  in libreria a dicembre, frutto dell’intenso lavoro di ricerca del giornalista, studioso e storico Maurizio Sessa, che il 5 dicembre alle ore 18 sarà presentata a Lucca nella sala assemblea a Palazzo Bernardini, sede di Confindustria Toscana Nord, nell’ambito della manifestazione “I giorni di Puccini”. Dopo il saluto del direttore della Fondazione Puccini, Massimo Marsili, sarà la professoressa Gabriella Biagi Ravenni, presidente del Centro studi Giacomo Puccini a presentare il volume addentrandosi nel lavoro affrontato da Sessa. Interverrà Agnese Pini, direttrice del quotidiano La Nazione. Coordina Francesca Fazzi, di Maria Pacini Fazzi Editore. Sarà presente l’autore Maurizio Sessa e Piero Antinori, proprietario delle lettere e promotore del volume.

Dal carattere così significativo per il territorio della Toscana, è un libro imperdibile, in cui trovare tracce autentiche e mai battute di avvenimenti storici. Dall’archivio Antinori, le 161 lettere inedite del grande compositore lucchere Giacomo Puccini indirizzate al marchese Piero Antinori e al conte Giuseppe della Gherardesca, offrono questo spaccato. Due nobili compagni di battute nelle ‘due maremme’, a Bolgheri e a Capalbio. Due lettere riportano in primo piano il tragico ‘affare Doria’, il suicidio della giovane cameriera dopo essere stata accusata da Elvira Puccini di essere l’amante del marito: il duro ‘j’accuse’ del maestro ai familiari della moglie e alla figliastra Fosca. E poi un’inedita opera mancata, ambientata in Toscana e incentrata sulla figura di Davide Lazzaretti ‘Il Cristo dell’Amiata’, concepita  nel febbraio del 1910 mentre Puccini ultimava ‘La fanciulla del west’ che esordì negli Stati Uniti.

Visse d'arte, visse d'amore. Visse anche di caccia. Che Giacomo Puccini, il compositore lucchese autore  di capolavori come La Bohème, Tosca, Madama Butterfly e l’incompiuta Turandot consegnati al godimento di tutta l'umanità, fosse un accanito cacciatore è risaputo. E' altrettanto noto che a Torre del Lago nelle scorribande venatorie lo accompagnavano sia facoltosi personaggi sia pittoreschi popolani senza il becco di un quattrino e scapigliati pittori squattrinati.  Tra i cacciatori più illustri va annoverato il marchese Piero Antinori, discendente di un’antica casata fiorentina da secoli dedita alla vinagione, all'arte della produzione di vini di eccellenza. Una famiglia storica, i cui prelibati  “nettari” avevano meritato le lodi di Francesco Redi nel suo celebre secentesco ditirambo Bacco in Toscana. Puccini sul lago Massaciuccoli, come pure nelle battute in Maremma, a Bolgheri e a Capalbio in primo luogo, aveva per compagno di battute un altro nobiluomo finora rimasto “nell'ombra”: il conte Giuseppe della Gherardesca, discente del famigerato Conte Ugolino cantato da Dante nella Divina Commedia.

A riportare alla luce le gesta venatorie di Giacomo Puccini in compagnia dei due raffinati gentlemen fiorentini è dunque Maurizio Sessa, autore del libro che raccoglie 161 lettere inedite, scritte da Puccini nell'arco di tempo che spazia dal 1903 al 1924, anno della sua morte sopraggiunta in una clinica di Bruxelles conservate nell'Archivio Antinori.  Una scoperta resa possibile dal marchese Piero Antinori, omonimo del nonno paterno (colui che suggerì a Puccini di assistere, a New York, a un lavoro teatrale di David Belasco da cui fu tratto il libretto de La Fanciulla del West), che ha promosso la pubblicazione delle lettere custodite a Firenze nel rinascimentale Palazzo Antinori.

Il volume è un avvincente “romanzo” epistolare per tre voci soliste, che si snoda lungo 360 pagine suddivise in due parti. Nella prima, l'autore ripercorre le orme della presenza di Puccini in Maremma, o meglio nelle due Maremme, quella Grossetana e quella all'epoca cosiddetta Pisana. A Capalbio, a partire dal dicembre del 1896, il compositore fu ospite nel Castello di Marco e Maria Collacchioni, proprietari del vasto latifondo dove fino a pochi giorni prima aveva imperversato il leggendario brigante Domenico Tiburzi, e del lago di Burano. Qui il Maestro entrò a far parte di un nido di nobili, che, smessi gli abiti eleganti, non vedevano l'ora di indossare la pelliccia maremmana per andare a caccia. Un rito al quale partecipava, secondo tradizionale usanza, l'intera comunità capalbiese.

Bolgheri, che il critico letterario Emilio Cecchi definì luogo ideale per la messa in scena del Trovatore di Giuseppe Verdi, vide più volte Puccini, già dall'ottobre del 1896, ospite dei conti della Gherardesca. Qui, più volte, col fucile in spalla percorse il viale con «i cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar», immortalato dal Carducci. Poi, nel 1904, il Maestro intrecciò una lunga e salda amicizia con il più giovane conte Giuseppe della Gherardesca, da lui subito affettuosamente ribattezzato “Beppino”. Un'amicizia destinata a durare sino agli ultimi giorni di Puccini.

Fra il 1904 e il 1912 il Maestro Puccini valutò una trentina di soggetti da poter musicare, ma poi dopo «attento esame», per usare le sue stesse parole, accantonati. Finora, però, non era mai emerso un curioso “abbozzo” inedito concepito nei primi mesi del 1910 e ambientato in Toscana: un progetto, presto abbandonato, incentrato sulla figura di Davide Lazzaretti, dai suoi seguaci chiamato il “Cristo dell'Amiata”, il fondatore della chiesa giurisdavidica.

La seconda parte  del libro riproduce la trascrizione conforme all'originale delle 161 missive inviate da Puccini ai suoi due aristocratici amici, quanto lui ferventi adepti al culto venatorio di Diana cacciatrice. Due lettere, però, si impongono all'attenzione del lettore e degli esperti. Entrambe vergate nel febbraio del 1909, da Roma, all'indomani del tragico episodio che segnò per sempre l'esistenza di Puccini: il suicidio della giovane cameriera Doria Manfredi, accusata da Elvira Puccini di essere l'amante di Giacomo. Due lettere strazianti, in cui Puccini grida tutto il suo sgomento, lanciando dure accuse ai parenti più stretti della moglie, non esclusi il figlio Antonio e, soprattutto, la figliastra Fosca. Puccini in un primo momento era intenzionato a separarsi da Elvira a causa delle gravi e umilianti offese private e pubbliche che aveva rivolto a Doria. Poi Giacomo tornò sui suoi passi e riprese a comporre La fanciulla del West che aveva abbandonato dopo il tragico avvenimento. Ma la ferita rimase aperta per sempre.Un carteggio cospicuo per quantità e qualità, dunque.

Giacomo Puccini, Giuseppe “Beppino” della Gherardesca, Piero Antinori dunque al centro di una lunga storia di amicizia, che partendo dalle due Maremme toscane, tra una battuta al cignale e una tela alle folaghe, conduce poi per mano il lettore in giro per il mondo. Un viaggio tra le grandi capitali della Vecchia Europa con lunghi soggiorni artistici in America del Sud e Stati Uniti, sulle tracce di un compositore di genio assoluto, a lungo svilito dalla critica coeva, e che tante e troppe biografie hanno sbrigativamente cristallizzato in una rassicurante e stereotipa immagine oleografica, aneddotica. Una personalità, quella di Puccini, invece molto più complessa di quanto si è comunemente portati a credere.

Il libro di Sessa si muove, quindi, alla riscoperta non del “vero Puccini”, ma del Puccini più vicino al vero. Un'occasione per rivivere “in presa diretta”, con la calligrafia nervosa, con la prosa sintetica e ricca di espressioni colorite e motti di spirito che contraddistinguono queste lettere inedite, i  trionfi e  i “fiaschi” (su tutti il clamoroso insuccesso della premiere di Madama Butterfly il 17 febbraio 1904 al Teatro alla Scala di Milano), le gioie e i dolori, gli amori e i dissapori familiari di un artista che con le sue opere impregnate di lirico sentimentalismo colpiva dritto al cuore il pubblico osannante. Lettere che raccontano delle sue ascese e delle sue cadute artistiche e umane. Un “romanzo” epistolare, che ha per protagonista il «guitto organista di Mutigliano» divenuto con infiniti, spossanti tormenti creativi il compositore più acclamato al mondo, che ha ben poco di romanzesco.

Maurizio Costanzo