
L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini
CARO MANCINI, siamo il Paese dei misteri o dei buffoni? Trentasette anni non sono bastati a fare chiarezza sull’assassinio di Aldo Moro. Ora spuntano alcuni nastri trovati nel covo delle Br che non sono mai stati ascoltati. Possibile? Come possiamo avere fiducia in un sistema che ci avrà pure garantito la democrazia per sessant’anni, ma ha lasciato alle spalle una scia di interrogativi senza risposte? G. Battista Neri, Cortona
TRENTASETTE anni sono pochi, caro Neri, per svelare un intrigo internazionale. Lei pensi all’assassinio di Kennedy (1963): ancora oggi le verità sono troppe. E le certezze restano sospese in attesa della Storia. Come succede per la morte di Enrico Mattei o per la tragedia del Dc9 di Ustica. Un muro di gomma respinge qualsiasi aspirazione di verità. Ammesso che questa aspirazione ci sia: prima il segreto di Stato, poi le strane scoperte postume - come quella dei nastri registrati - e anche il prete, presunto confessore di Moro nella prigione Br, che avrebbe dovuto raccontare oggi alla Commissione d’inchiesta parlamentare, quello che non aveva mai raccontato a nessuno, sono appendici destabilizzanti. Se vuole la mia opinione, mi sembra sospetto perfino questo improvviso fiorire di elementi nuovi (o presunti nuovi: i nastri, il prete) che riaccendono l’interesse per il caso. Troppe sorprese hanno avvolto e sconvolto, negli anni, la trama del giallo: dalla famosa seduta spiritica nei giorni del sequestro, alle rivelazioni del giudice Imposimato, che ha indagato sul delitto e che sostiene la tesi secondo cui i servizi segreti avevano scoperto dove era nascosto Moro ma i carabinieri ricevettero l’ordine di non intervenire. Perché Aldo Moro doveva morire? I sovietici temevano un distacco del Pci dall’Urss, una volta entrati al governo grazie all’opera del presidente Dc. Gli americani hanno avuto un ruolo controverso: non avrebbero mosso un dito per salvarlo, perché seppero che stava raccontando ai suoi carcerieri i segreti della Nato e di Gladio. Infine, ma non ultima, la storia della “pista fiorentina”, che porta al maestro di musica ucraino Igor Markevitch, noto perché nel ‘44 fece da intermediario fra Alleati e tedeschi per salvare dai bombardamenti le opere d’arte di Firenze. Forse proprio nella casa fiorentina del musicista, le Br avrebbero deciso l’esecuzione di Moro. Come vede, è una sciarada micidiale. Bisognerebbe chiedersi anche perché, in quattro processi, sia stato consentito agli ex brigatisti di mescolare impunemente realtà e balle. E questo è un altro mistero.