I giovani e il futuro. "Fuggire o lottare, con i nostri genitori dialogo impossibile"

I ragazzi di Castelvetrano raccontano una frattura generazionale "Molti da queste parti hanno approfittato del sistema mafioso". E denunciano: di cosche a scuola si parla poco, e mai di Messina Denaro

La manifestazione a Castelvetrano dopo la cattura di Messina Denaro

La manifestazione a Castelvetrano dopo la cattura di Messina Denaro

"Sì, a scuola abbiamo parlato spesso della mafia, di Falcone, Borsellino, del generale dalla Chiesa. Ma di Matteo Messina Denaro no...". Hanno 14 e 15 anni, studiano al liceo scientifico, vengono da Campobello di Mazara, il paese più chiacchierato al mondo. Sono anche loro a Castelvetrano, il paese di Messina Denaro, per manifestare contro la mafia, sono in attesa del pullman che li riporterà a casa, hanno ancora in mano qualche striscione arrotolato. Marco, Dalila, Alice, Gabriele, Giada sentivano il bisogno di esserci, di manifestare la loro "diversità" rispetto a quella che loro stessi faticano anche solo a definire "normalità". Quella normalità mafiosa, fatta di silenzi e omertà (parola più volte ripetuta), cui non sentono di appartenere. "Quella è la mentalità dei vecchi", dicono.

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La frattura generazionale, lo spiraglio di speranza di riscatto, esplode nei loro occhi, nei loro sguardi che non tradiscono paura, dietro il trucco leggero delle ragazze, il gel sui capelli dei ragazzi, i primi segni di crescita (persino i baffi e i brufoli, perché no?). In piazza, da quando è stato arrestato Messina Denaro, di adulti se ne sono visti ben pochi. "Molti hanno approfittato del sistema mafioso – dicono – quindi è ovvio che non ne parlano male". Però di Messina Denaro a Campobello se ne parla? È quasi un coro: "Impossibile che in paese non sapessero che era lì". Ma a scuola, in famiglia, se ne parla? A casa, dicono, ora se ne parla di più, certo. Ma con le vecchie generazioni no. E a scuola, purtroppo, il nome del boss non è praticamente mai emerso. Di mafia e antimafia, a volte, ci si occupa come nelle feste comandate.

Questi ragazzi non si nascondono. Loro sono un’altra cosa rispetto all’omertà, alla connivenza, alla logica della sopraffazione, dell’abusivismo. Campobello è il loro paese, ci sono nati, ci vivono, ci sono i loro affetti. Però sentono che per loro, nel paese che ha protetto così a lungo la latitanza del superboss, c’è poco spazio. Vogliono parlare, che qualcuno li ascolti e non finga indifferenza. Ma soprattutto vogliono opportunità. Pensate di restare a Campobello nel vostro futuro? La risposta plebiscitaria e decisa è un colpo al cuore: "No". Solo uno, assorto, sussurra "io resterei". Resterei, al condizionale, perché ci vogliono le condizioni giuste per non andarsene, per non emigrare come tanti hanno già fatto. "I giovani se ne vanno, è rimasto un paese di vecchi", dice Dalila. Di vecchi con cui è impossibile confrontarsi.

Vanno al loro pullman, ma qualche ora più tardi li ritroveremo a Campobello in mezzo alla folla di giornalisti e telecamere davanti al secondo bunker di Messina Denaro, curiosi e interessati. Vogliono capire, altroché.

Di cose da capire, di segreti da svelare, di responsabilità da chiarire ce ne sono tanti. I giovani della piazza di Castelvetrano sentono che in qualche modo questa responsabilità è anche loro, almeno devono provare a farsi sentire. "Il mio mito Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani avrà una fine". Ad Angela, 16 anni, si illuminano gli occhi, mette le mani sul cuore. Ma aggiunge: "L’importante è che la sua fine non coincida con la fine dell’uomo". Vengono da Partanna, Santa Ninfa, Salaparuta, altri paesi della zona, Angela e i suoi amici del liceo classico Pantaleo di Castelvetrano. Aspettano il loro pranzo portato da un rider, leggono il giornale, parlano ancora della manifestazione a cui hanno partecipato in mattinata. "Eravamo tanti!", sono contenti. La piazza è la stessa che il giorno prima sembrava deserta, persino congelata nel tempo, con il pupazzo di Babbo Natale ancora aggrappato al palo della luce davanti alla chiesa madre e le luci di Natale appese agli alberi. Se non ci sono i giovani, tutto è vuoto.

Si chiamano Angela, Egle, Stefano, Nadia, Imma, Maria Sole.

"Gli anziani pensano che lui sia un eroe, perché ha dato lavoro – dice Stefano, e quando dice “lui“ c’è solo disprezzo nella voce –. Non pensano che ha ammazzato tante persone, compresi bambini". I ragazzi, tutti fra i 16 e i 17 anni, sono un fiume in piena, sanno che potrebbe finalmente essere arrivato il loro momento. E non risparmiano nessuno, neanche lo Stato e le istituzioni: "Ci sono troppe domande a cui non abbiamo risposte e forse non le avremo". "Ma le vogliamo", aggiungono tutti convinti. "Noi siamo cresciuti con un imprinting diverso, ma già anche i nostri genitori. La vecchia generazione invece ha proprio vissuto in un clima di stampo mafioso", spiegano due ragazze. "Durante uno scambio con un liceo della Campania ci dicevano che siamo mafiosi... Questo non lo possiamo accettare".

Il passato non appartiene più a questi ragazzi. Il loro tempo ha un altro orizzonte. Pensate di restare qui o andare via? "Vogliamo restare qui, fare qualcosa per la nostra terra. Comunque restare in Sicilia", dicono quasi tutti convinti. Angela non ha il minimo dubbio: "Voglio il fare il magistrato. Antimafia. Devo restare qui".