
Giorgio Armani è morto a 91 anni
C’era un anniversario atteso, i cinquant’anni della sua maison, Milano pronta a celebrarlo con una passerella che avrebbe dovuto essere la summa poetica di una carriera irripetibile: durante la Milano Fashion Week di settembre, avrebbe inaugurato una mostra senza precedenti alla Pinacoteca di Brera, la prima volta che il celebre museo milanese apriva le sue sale alla moda. Invece, Giorgio Armani ha scelto un’altra uscita di scena: il 4 settembre 2025 se n’è andato a 91 anni. Pochi giorni prima, quasi a voler chiudere un cerchio personale e simbolico, aveva sorpreso tutti con l’acquisto della leggendaria Capannina di Forte dei Marmi: non un’operazione immobiliare, ma un ritorno al luogo dove alla fine degli anni Sessanta aveva conosciuto Sergio Galeotti, il compagno e socio con cui avrebbe fondato la maison nel 1975.
SI chiude un’era del made in Italy
Grande pensatore, prima che grande creatore, con la scomparsa si chiude un’era di un made in Italy che non è solo moda elegante e portabile, ma un vero e proprio sistema di pensiero. Se ne va anche l’ultimo degli stilisti-imprenditori della generazione che mantenuto completa indipendenza creativa e finanziaria: quella di Versace, di Krizia, di Missoni, Ferré (anche di Valentino, però che ha ceduto il suo marchio).
Le origini a Piacenza, la svolta a Milano: da vetrinista a stilista
Nato l’11 luglio 1934 a Piacenza, Giorgio Armani crebbe in tempi difficili, attraversando gli anni della II Guerra Mondiale e del dopoguerra. Sognava di fare il medico, ma il destino lo portò altrove. Trasferitosi a Milano nel 1947 con la famiglia, dopo aver abbandonato gli studi di medicina, iniziò a lavorare come vetrinista presso la Rinascente, un apprendistato fondamentale: osservando gli abiti nelle vetrine capì di non amare ciò che vedeva e decise di poter creare qualcosa di meglio. Negli anni ’60 entrò nel mondo della moda come designer; la svolta arrivò nel 1965, quando Nino Cerruti lo volle come responsabile della linea uomo Hitman. dalla prima collezione presentata a metà anni ’70, Armani impose una piccola grande rivoluzione estetica: ammorbidì la giacca maschile, liberandola dalle imbottiture e dalle rigide impunture tradizionali.
L’incontro con Sergio Galeotti, primo amore e socio
L’anno cruciale fu il 1975: insieme al compagno di vita e socio Sergio Galeotti, fondò la Giorgio Armani S.p.A., gettando le basi di un impero. La giacca destrutturata divenne presto il suo capo simbolico, libera e seducente al punto da trascendere i generi, diventando un pezzo unisex adatto tanto agli uomini quanto alle donne. Negli anni in cui le donne iniziavano a reclamare ruoli di leadership nel lavoro e nella società, egli fornì loro l’abito del potere, dando vita a quel power dressing che avrebbe segnato gli anni 80, contribuendo a cambiare per sempre l’immagine della donna in carriera.
La consacrazione con American Gigolò
La consacrazione internazionale di Giorgio Armani avviene venne con film ormai leggendario: American Gigolò (1980) di Paul Schrader, dove un giovane Richard Gere apre il suo armadio e dispone sul letto una serie di impeccabili completi coordinati tutti firmati Armani. Da allora Hollywood non lo lasciò più: registi e costumisti compresero che l’estetica pulita di Armani aggiungeva ai personaggi carisma e modernità. Martin Scorsese gli dedicò un documentario, Made in Milan, ritratto intimo del suo laboratorio creativo. Nel 1982 Giorgio Armani comparve sulla copertina del Time Magazine, secondo stilista nella storia a ricevere tale onore dopo Christian Dior - un riconoscimento mediatico che suggellava la sua ascesa a fenomeno globale.

L’impero Armani: moda, casa, ristoranti, hotel, caffè, spa e club
Ma non si fermò lì. Nel 1981 fondò Emporio Armani, aprendo la sua estetica a un pubblico più giovane. Nel 2000 creò Armani/Casa, nel 2010 inaugurò il primo Armani Hotel a Dubai, dentro il Burj Khalifa, seguito da quello di Milano. Lanciò ristoranti, aprì caffè, spa, fiorerie, una discoteca, persino cioccolatini. Non era dispersione, ma estensione coerente: “Ho sempre pensato che la mia moda fosse un modo di vivere”, disse. Così nacque un impero del lifestyle, tutto riconoscibile dal marchio di sobrietà. Nel 2005 debuttò con Armani Privé a Parigi, sfidando la haute couture francese. Nel 2025, vent’anni dopo, Armani Privé era un appuntamento centrale del calendario parigino.
Leo Dell’Orco, compagno e collaboratore
Ma dietro la figura austera c’era un uomo capace di sentimenti profondi. Negli anni trovò stabilità accanto a Leo Dell’Orco, compagno e collaboratore, con cui condivise gli ultimi decenni. In pubblico parlava poco della sua vita privata, ma più volte confessò il rimpianto di non avere avuto figli: “Mi manca moltissimo il non avere avuto figli. Ho capito che sarei stato un ottimo papà”. La sua vita fu una dedizione assoluta al lavoro, a volte a scapito degli affetti. Quelle sfuriate celebri in atelier, quella ricerca ossessiva del dettaglio, erano anche il segno di chi che aveva sublimato nel lavoro i suoi sentimenti più profondi. Con la sua scomparsa (reale o immaginaria) la moda perde non solo un maestro di taglio e colore, ma un punto di riferimento esistenziale.
L’eredità concettuale di Giorgio Armani
L’eredità armaniana rimarrà un invito a indossare ciò che siamo, a tessere la nostra identità con le trame del tempo. Chi raccoglierà il suo testimone dovrà fare i conti con questa lezione: non c’è rivoluzione più grande di quella silenziosa che si costruisce su misura dell’essere umano. Ha insegnato che l’eleganza non è un orpello, ma un linguaggio che ci definisce. Ha insegnato che il lusso non ha bisogno di urlare, che la sobrietà può essere più rivoluzionaria dell’eccesso.
Re Giorgio, un pioniere
È stato pioniere in tutto: nel vestire le donne con libertà, nel reinventare l’uomo con dolcezza, nel costruire un impero globale rimanendo indipendente, nell’aver incarnato la modernità come ritorno all’essenza. Forse non lascia successori, ma una lezione: che la moda può essere moderata e rivoluzionaria. Che il silenzio può essere più potente del clamore. Che l’eleganza, se è vera, resta.