TITTI GIULIANI FOTI
Cronaca

Fabre, la mostra che fa già discutere. ‘Nessun animale è stato ucciso’

Firenze: parla Melania Rossi, la curatrice: ‘E’ il racconto dell’uomo’

L'opera di Jan Fabre in piazza Signoria (foto NewPressPhoto)

Firenze, 18 aprile 2016 - «No. Non ha mai squartato niente e nessuno: gli animali che usa, sono morti di morte naturale e gli sono stati passati dall’Università. Fabre lavora sempre con l’Universtià in Belgio, e gli scarabei arrivano dall’Africa. I gusci sono scarti alimentari e il carapace, il guscio dello scarabeo, viene buttato via dopo essere stato mangiato nella parte interna. Si parla di scarti alimentari che gli arrivano dall’Università».

Nero su bianco: Jan Fabre non è un assassino di animali. Che si diano pace ambientalisti e polemisti dell’ultim’ora. E’ artista, coreografo, regista teatrale e scenografo belga Jan Fabre: una delle sue collaboratrici più strette si chiama Melania Rossi, che con Joanna De Vos è curatrice della mostra di Firenze il cui simbolo è la tartaruga gigante in piazza Signoria. Una mostra che andrà avanti fino al 2 ottobre, ampliandosi dal centro storico fiorentino, fino – dal 14 maggio – a Forte Belvedere.

Melania Rossi: perchè Fabre fa questo uso degli animali?

«Gli scarabei hanno uno scheletro come una corazza di difesa verso l’esterno, il che sta a dimostra la fragilità interiore del corpo esattamente come quella dell’uomo che per proteggersi costruisce corazze e armature, sia psicologiche che fisiche».

La gigantesca tartaruga cosa ha di particolare?

«Il titolo è ‘Searching for Utopia’ e anche questa, come tutti i bronzi, è al silicio e per rimanere così brillante è ricoperta con una vernice per aerei. La particolarità è che lo stesso Fabre si posiziona nell’opera, sulla tartaruga e guardano nella medesima direzione cercando entrambi una via verso l’utopia della vita eterna. Come se insieme cercassero di capire che tipo di cammino poter intraprendere per non essere vittime di una fine. E’ l’opera della resistenza sognante».

Evoca il motto ‘Festina Lente’.

«Sì perchè il carapace, la tartaurga era il simbolo della flotta di Cosimo I de’ Medici, riscontrabili sia in Palazzo Vecchio – sotto la statua equestre di Cosimo ci sono piccole tartarughe – che negli affreschi».

Cosa rappresenta, invece, l’opera con il mappamondo?

«E’ un globo con 50mila scarabei che si ritrovano nella tradizione sia fiamminga che italiana. Sono simboli del passaggio tra la vita e la morte, angeli di metamorfosi. Quindi simboleggiano cosa, della nostra vita fisica, rimane dopo la morte, il passaggio tra vita e morte. E anche perchè gli scarabei sono in costante cammino, sempre in movimento per restare vivi e sognanti. E mantere lo spirito elevato contro ogni tipo di fine».

E c’è l’uomo che misura le nuvole.

«E’ un autoritratto, la prima versione, americana, è del 1998. Oggi ‘The man who measures the clouds‘ è aggiornato al 2016. Ritrae l’artista più vecchio di 18 anni. Anche qui torna il concetto della tendenza dell’essere umano di cercare azioni impossibili. C’è un uomo che cerca di misurare il macrocosmo che lo sovrasta contro il microcosmo di cui è composto. Lo stesso che resta costantemente in cammino».

A Forte Belvedere cosa accadrà?

«Ci sarà il cuore della mostra, con sessanta opere in bronzo e calchi di cera, e una serie di film incentrati su alcune storiche performance dell’artista. Perchè si torna al concetto iniziale: un po’ come il carapace, una fortezza serviva per proteggere Firenze. E quindi tutto quello che c’è là sopra è a difesa della città e di chi ci si trova, contro il nemico esterno. Ma anche interno».