"E' necessario cambiare il modo di trattare le persone con disabilità"

A colloquio con il dottor Griffo, fra i massimi esperti in materia di diritti umani e civili in tema di disabilità

Il dott. Giampiero Griffo

Il dott. Giampiero Griffo

Firenze, 3 dicembre 2021 – Nella ‘Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità’ intervistiamo il dottor Giampiero Griffo, Coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, impegnato da decenni nel campo della difesa dei diritti dei cittadini con disabilità, con varie responsabilità direttive e numerosissimi incarichi e progetti a livello nazionale e internazionale e numerose pubblicazioni, articoli e studi in tutte le aree dell’innovazione legate alla disabilità.

Dott. Griffo, a più di dieci anni dalla ratifica italiana della ‘Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità’, quest’ultima oggi nel nostro Paese è in concreto vista da cittadini e istituzioni come un’anomalia del singolo o come una condizione che nel corso della vita può essere comune a tutti, che la società ha il dovere di proteggere e rispettare, un motivo cioè di organizzazione sociale?

“In Italia è prevalente un modello stigmatizzante delle persone che hanno limitazioni funzionali, modello ancora basato su un approccio medico-individuale che attribuisce alla persona le negatività che vive. La Convenzione ha invece attuato un cambiamento sostanziale che non è stato ancora sufficientemente applicato in Italia”.

Quindi?

"La Convenzione lo dice chiaramente: le persone sono ‘disabilitate’ dall’interazione delle loro caratteristiche con l’ambiente. Cosa significa: significa che se i pullman fossero accessibili, se gli strumenti di comunicazione fossero accessibili, se lo stigma non impedisse di poter accedere a un lavoro, e così via, le persone con disabilità potrebbero sicuramente lavorare, sicuramente spostarsi. Un elemento poi che solo di recente, dopo la pandemia, è emerso con chiarezza è questo: la modalità dei welfare in tutto il mondo si basa su un approccio di protezione. La protezione per le persone con disabilità durante la pandemia non c’è stata: il che significa che bisogna arrivare a un welfare di inclusione; la Convenzione è la base per questo welfare”.

Alla base delle difficoltà della nostra società di far propria, ad ogni livello, la normalità delle diversità c’è forse la non conoscenza. Lei, dott. Griffo, ritiene o meno che il primo problema sia innanzitutto culturale, educativo: e se così fosse, come risolverlo?

"Negli ultimi mesi sono intervenuti vari elementi che hanno portato ad una proposta di legge-delega del Governo, prevista come riforma all’interno del PNRR, che si basa innanzitutto su una valutazione delle persone non sulla base di modelli medici – come avviene adesso -, ma bensì sull’interazione tra la persona e l’ambiente e le attitudini sociali. Un secondo elemento ha a che vedere con il Progetto Personalizzato Partecipato: le persone con disabilità non sono oggetto di intervento, sono soggetto del cambiamento e quando loro intervengono, producono innovazione. L’altro elemento è che anche nel PNRR è previsto il monitoraggio dell’inclusività per le persone con disabilità. Come ‘Osservatorio Nazionale’ noi controlleremo questa inclusione attraverso un meccanismo che verificherà per tutti i progetti, per tutte le missioni se alcuni principi, come l’accessibilità, l’universal design, la vita indipendente, la non discriminazione, siano applicati all’interno dei progetti finanziati dall’Unione Europea. Lo stesso faremo con i fondi strutturali”.

Cioè?

“E’ un cambiamento sostanziale degli ultimi mesi che fa sì che per la prima volta l’Italia applichi la Convenzione”.  

Quando si parla di certi temi si corre il pericolo di creare categorie ed etichette? Perché è sempre difficile superare rappresentazioni stereotipate quando ci riferiamo ai diritti umani.

“L’approccio assunto in tutto il mondo, dalle Nazioni Unite all’Unione Europea e a vari paesi, è quello che va tutelata la non discriminazione, l’uguaglianza di opportunità, meglio ancora l’egualizzazione. La Convenzione dice che le persone con disabilità sono parte della società. Quindi la stigmatizzazione o categorizzazione, gli stereotipi negativi devono essere superati e questo avviene solo se si cambia proprio il modo di trattare le persone con disabilità: si riconoscono i diritti umani, si lavora per un accesso egualitario ai diritti e si attivano dei sostegni appropriati dello Stato affinché le persone possano scegliere un loro progetto di vita e lo possano realizzare con la qualità che loro decidono”.

Nell’emergenza Covid-19, quali per lei gli aspetti e le criticità di maggior rilievo per le persone con disabilità e quali invece – se ve ne sono state – le principali novità ed iniziative in campo normativo?

“Durante la pandemia è emerso che le persone con disabilità non erano assolutamente incluse nel sistema di emergenza: anzi, ci sono state alcune associazioni professionali che hanno proposto di escluderle dall’assistenza durante il triage. Fortissima l’esclusione delle persone con disabilità nella scuola: più del 50% di queste non hanno potuto accedere alla FAD (Formazione a distanza) e dall’altro lato la chiusura e il lockdown dei servizi ha fatto emergere che il nostro è un welfare che oltre a non proteggere non è nemmeno flessibile. L’altro elemento critico è stato quello della moria nelle residenze per anziani. Quello che serve è esattamente un cambiamento di paradigma. La possibilità per le persone con disabilità di essere riconosciute cittadini come gli altri ormai è in tutti i documenti internazionali. Gli obbiettivi di sviluppo sostenibile includono le persone con disabilità tra i beneficiari e l’Unione Europea ha una strategia specifica che garantisce in toto la piena partecipazione delle persone con disabilità. Il problema è che in Italia questo stenta ancora a divenire operativo. Quando le associazioni - che sono state fondamentali durante la pandemia - hanno la possibilità di interloquire, producono appunto innovazione”.

Spesso è utilizzato il termine ‘disabile’ anzichè ‘persona con disabilità’. Come commenta questa pratica, da esperto e persona che da decenni s’impegna su queste importanti tematiche?

“La Convenzione è molto chiara: dice che la disabilità dipende dall’ambiente e dipende dalle attitudini. Cioè, non è la persona che è disabile, è la persona che – a certe condizioni – diventa disabile a causa dei comportamenti sbagliati, delle barriere, ostacoli e discriminazioni, che vivono le persone in questa condizione. Ultimamente sul linguaggio ci sono state varie iniziative interessanti. Segnalo quella che sta per uscire a gennaio dell’Agenzia per le Entrate che ha elaborato un documento proprio sull’appropriatezza dei linguaggi anche all’interno delle attività che svolgono i 33mila dipendenti”.

Dunque?

“E’ chiaro che molti linguaggi, anche quelli giornalistici, ancora sono legati a distorsioni, a concezioni sbagliate, ad elementi in cui anche la lingua produce degli effetti negativi, perché le parole sono pietre e quindi se non si sanno usare producono effetti molto, molto dannosi”.

Dunque, anche nel linguaggio, la persona deve essere al centro e non la sua condizione.

"Voglio aggiungere che L’OMS osserva che la condizione di disabilità sarà vissuta durante la loro vita dai 7miliardi e mezzo di persone che vivono nella terra. E’ quindi una convenienza intervenire in maniera appropriata. Rispetto poi al linguaggio, faccio notare come ad esempio Stephen Hawking, grande astronomo, non era più descritto dai giornali, dai suoi colleghi come una persona con disabilità, perché il suo contributo è stato così elevato e i sostegni appropriati (sedia elettrica, comunicazione attraverso un computer, assistente personale) che era incluso. Nessuno pensava a lui come a una persona con disabilità. L’obiettivo della Convenzione è esattamente questo: garantire che anche persone che possono avere limitazioni funzionali come lui possano dare il loro contributo, partecipare con le loro idee, con le loro proposte, con le loro capacità alla società”.

 

Andrea Mucci