
Calcio giovanile
Firenze, 11 ottobre 2019 - In appena quattro partite del campionato «Giovanissimi B», a Firenze, qualche portiere di appena 13 anni ha raccolto più di 50 volte il pallone dal fondo della sua rete.
Le goleade, nel calcio, ci sono sempre state, a tutti i livelli, ma in questo campionato «sperimentale» ce ne sono già state troppe e troppo roboanti. 20, 21, 23 a 0, roba da guinness per partite di trenta minuti per tempo e per le forze di un nato nel 2006. Ma anche assai distante dallo spirito dello sport, qualsiasi sport: punteggi poco formativi per chi vince, troppo pesanti per chi perde, poco educativi per tutti.
La sperimentazione del comitato locale della Federazione Italiana Gioco Calcio è consistito nell’eliminare il «girone di merito», campionato riservato alle ‘elite’ più attrezzate. Anzi, nel «rimandarlo» a gennaio, quando le migliori dei nove gironi verranno raggruppate in un nuovo torneo. L’intenzione del governo fiorentino del calcio poteva anche essere nobile: il «merito», nei Giovanissimi, se lo conquistano i ragazzi sul campo, e così anche chi non è storicamente nel gotha pallonaro, ma si ritrova tra le mani una nidiata di calciatori promettenti, può arrivare dove prima non avrebbe mai potuto. Ma forse è stato mal calcolato il gap che esiste tra le formazioni di primissimo livello, veri e propri serbatoi del professionismo, dalle realtà del paese, dove si fatica perfino a mettere in campo i primi undici.
In attesa del riequilibrio di gennaio, si sono già registrati risultati che non c’entrano nulla con questo gioco. «Il calcio giovanile deve essere una scuola sociale», ricorda Federico Bagattini, avvocato, esperto di diritto sportivo e da quest’anno anche presidente di una società che si è iscritta per la prima volta al campionato dilettantistico di terza categoria, il Real Peretola. «Sui banchi di scuola e sui campi di calcio e in generale dove si pratica lo sport si formano gli uomini di domani. I messaggi che devono essere quindi trasmessi, sono messaggi di lealtà, di equlibrio, di vittoria gratificante e di sconfitta dignitosa. Mandare in campo squadre il cui risultato è 21-0 significa tradire questa finalità». Dirigenti in campo. Secondo Giovanni Bellosi, presidente del Casellina, «il ‘famoso’ 21-0 è la punta dell’iceberg di un problema molto diffuso e che da tempo andava affrontato. E’ vero che questo e altri risultati sono maturati anche a causa di riforme della Figc in questa categoria, discutibili, che andranno riviste. Però se non si costruisce una cultura della lealtà sportiva e del rispetto dell’avversario non si eviteranno mai situazioni mortificanti così. Ma situazioni di questo tipo si verificano ormai da tempo anche nella scuola calcio.
Anche se non ci sono classifiche ufficiali, che esistono però lo stesso su siti e giornali, o si fanno tre tempi per far giocare tutti, in realtà le società competono lo stesso: si convocano i ragazzi più avanti, si dividono in squadre A e B, e si assistono a cose assolutamente strane per una fascia di età dai 5 ai 12 anni che dovrebbe essere assolutamente protetta per evitare eccessiva competitività laddove invece bisognerebbe privilegiare la crescita del gruppo e non dei singoli, e non il risultato ma l’educazione calcistica e sportiva».
Soluzioni? «Andrebbero studiate misure forti a livello Figc, un limite al risultato oltre il quale il risultato viene annullato, con ripercussione anche in classifica e, se i casi si ripetono anche incidere sullo status di scuola calcio d’elite.
Essere scuola calcio d’elite significa infatti esser capaci di insegnare e trasmettere valori. Ma in realtà la misura vera sarebbe culturale: anche agli istruttori andrebbe insegnato che dopo il 6-0 non è più calcio. Un bravo allenatore sa fermare la squadra. E anche noi dirigenti delle società dobbiamo fare il nostro.
E’ successo anche a noi di vincere con un risultato che definisco ‘demenziale’: andammo a scusarsi con la squadra avversaria, e rinunciammo ad una lezione con gli istruttori della Sampdoria con cui siamo gemellati per regalarla ai ragazzi sconfitti».
Lezioni ai rissosi. Bellosi, con il suo Casellina, nella passata stagione si è trovato anche un’altra brutta gatta da pelare: i suoi juniores, qualcuno di neanche 18 anni, furono protagonisti di una rissa con gli avversari che totalizzò 24 squalifiche. L’episodio portò all’inevitabile retrocessione di quella formazione «ma – ricorda il presidente – organizzando un terzo tempo con gli Allievi della Fortis Juventus nella partita successiva, coinvolgendo il babbo di Niccolò Ciatti che ha perso un figlio per un calcio in testa, quella squadra ne è uscita rafforzata e anche se sono retrocessi a fine anno sono stati promossi come uomini». Bollettini di guerra.
I comunicati della Figc sono lo specchio di un movimento che pur portatore di valori sani, incontra sui campi mali della società non ancora sconfitti. Il rispetto, ad esempio, non è dovuto soltanto all’avversario, ma anche all’arbitro. «Se non viene lui, non si gioca», suggeriva a chi scrive un allenatore di una trentina d’anni fa per spiegare la nocività delle proteste.
Un direttore di gara di colore, lo scorso week end, su un campo di terza categoria fiorentina, è stato apostrofato e offeso per motivi razziali da un «sostenitore isolato». La società è stata multata di 550 euro. Il capitolo tifosi/genitori non può restare fuori da questa riflessione sul calcio. Abbiamo sentito papà e mamme che dicevano «basta, basta!» ai propri figli trascinati dalla voglia di far troppi gol, ma abbiamo scritto anche di zuffe sugli spalti e partite di bambini sospese. L’ultima a Quarata, Arezzo, un paio di settimane fa. Ad un torneo under 12 farcito di squadre professionistiche, i genitori hanno cominciato ad azzuffarsi in tribuna. Carabinieri sugli spalti, bambini in lacrime e torneo sospeso. Sconfitta per tutti. Seravezza e Grosseto si sono scambiate accuse per una partita di juniores nazionali: gli ospiti accusano i padroni di casa di aver «bullizzato» un giocatore di colore. I lucchesi hanno risposto denunciando il danneggiamento degli spogliatoi messi a disposizione dei maremmani. In effetti il giudice sportivo ha multato il Grosseto per aver scassato la cerniera di una porta e sanzionato il Seravezza per la presenza indebita di non tesserati nel recinto e per il comportamento antisportivo di un dirigente a fine gara. Ma del razzismo, almeno nel bollettino della Lega Nazionale Dilettanti, nemmeno l’ombra.