FABRIZIO MORVIDUCCI
Cosa Fare

L’altra Resistenza. Soldati che dissero no. E furono internati

Nel programma del "Giorno della memoria" ricordata la scelta di tanti militari. La Toscana in prima fila per dare voce anche a pagine di storia ignorate. .

Scelsero di dire no alla Repubblica Sociale e alla Germania Nazista, e pagarono la loro scelta con la prigionia o la vita. Dopo l’8 settembre 1943 solo il 10% dei militari italiani accettò l’arruolamento. Molti decisero di combattere contro il nuovo nemico. In tanti diventarono prigionieri di guerra. Ma successivamente con l’inasprirsi del conflitto, diventando evidente la sconfitta dell’Asse, persero anche questo status. Molti divennero lavoratori coatti, senza diritti, oggetto di violenza.

Se ne è parlato ieri al memoriale della deportazione di Firenze, durante la presentazione dei volumi "Abbiamo detto no. Dieci internati militari italiani nei campi nazisti 1943-1945" di Enrico Iozzelli e Susanne Wald e "Prigionieri, internati, resistenti. Memorie dell’altra Resistenza" di Nicola Labanca.

L’iniziativa, che ha visto anche la partecipazione dell’assessore alla formazione della Regione Toscana, Alessandra Nardini, rientra nel programma di iniziative per il Giorno della Memoria che la Toscana ha voluto organizzare non solo per ricordare le vittime della shoah ma anche i martiri delle ‘resistenze’ sul territorio nazionale. "In un momento difficile – ha detto Nardini – nel quale diversi episodi ci spingono a tenere alta la guardia contro i nuovi fascismi, dobbiamo tener presente che la storia non si riscrive né si cancella".

Nel periodo che va dalla fine dell’estate 1943 alla Liberazione, secondo le stime, sono stati 800 mila gli italiani, militari e civili, trasferiti in maniera coatta in Germania per essere impiegati come forza lavoro nell’industria militare tedesca. Di questi, oltre 650 mila, furono gli Imi, Internati Militari Italiani. Costretti a consegnare le armi, migliaia di soldati furono posti di fronte alla richiesta di continuare a collaborare con i tedeschi e con la Repubblica di Salò. Una piccola parte continuò a combattere coi fascisti; altri, come i militari dell’eroica Divisione Acqui a Cefalonia, lottarono strenuamente fino alla morte.

I soldati pagarono il loro no a caro prezzo: venti mesi di internamento in condizioni disumane nei lager del Terzo Reich patendo la fame, il freddo, il lavoro coatto. Con provvedimento arbitrario di Hitler per loro non valse la Convenzione di Ginevra. Vengono chiamati stück che in tedesco significa pezzi, come la merce. Circa 50mila muoiono in prigionia per malattie, denutrizione, esecuzioni, bombardamenti. Nell’agosto 1944, subiranno una nuova umiliazione: per un accordo tra Hitler e Mussolini, diventano lavoratori civili, cosa che costringe al lavoro anche gli ufficiali. Compattamente ribadiranno il loro no fino alla liberazione avvenuta tra febbraio e fine aprile 1945. Sono tante le storie degli Imi e delle loro famiglie purtroppo a lungo dimenticate. E lunga è stata l’attesa per il riconoscimento del loro sacrificio da parte della Repubblica. Alcuni stanno ancora aspettando.

Le iniziative per il giorno della memoria della Regione proseguono fino al 27 gennaio. Da segnalare domani alle 10 sempre al memoriale di viale Giannotti con la presentazione del Libro "Sempre con me. Le lezioni della Shoah" di Emanuele Fiano.

Altro appuntamento interessante ad Arezzo: “Oltre la memoria. Nuovi approcci alla storia e all’insegnamento della Shoah” è il titolo dell’iniziativa, dedicata al Giorno della Memoria, che si terrà giovedì 25 gennaio al campus universitario del Pionta di Arezzo (ore 16, Palazzina Donne in viale Cittadini 33).

Si cercherà di rispondere a domande molto attuali: come rappresentare accuratamente e rispettosamente la verità storica, mantenendo al contempo un approccio etico e sensibile? Come evitare il rischio di un abuso della memoria, che può manifestarsi attraverso la ritualizzazione e la banalizzazione della tragedia?