Nel Paese distrutto dalla mediocrazia

L’arrivo di Mario Draghi può sembrare una benedizione. Logorata da 10 anni di crisi profonda l’Italia non ha più personale politico all’altezza. Giolitti diceva che il miglior sarto tiene conto della gobba dell’uomo da vestire

Pecore elettriche

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Firenze, 14 febbraio 2021 - Il governo Draghi è dunque nato. Chi si aspettava un esecutivo con Batman, Spiderman e Wonder Woman ne sarà rimasto inevitabilmente deluso, ma le scelte del presidente incaricato non devono stupire. Ventitré ministri, 15 politici e 8 tecnici. Non c’è mai stato - probabilmente erano solo suggestioni giornalistiche, una sorta di wishful thinking mediatico - un dream team iper tecnico, composto da tecnici nati e allevati alla Bce e dotati di super poteri speciali (far sparire il debito “cattivo”, azzerare il tasso di disoccupazione, ristorare al 100 per cento chi ha perso tutto in questa pandemia).

Quindi insieme a esperti di indubbio valore – da Roberto Cingolani alla Transizione ecologica a Marta Cartabia alla Giustizia – ci sono i soliti Luigi Di Maio agli Esteri, Dario Franceschini alla Cultura e Roberto Speranza alla Salute, più ingressi politici da Forza Italia e Lega, che hanno accettato di far parte del governo.

Inutile far paragoni con il passato, serve solo a farsi venire il magone. Nel 1993, quando nacque il governo Ciampi, come ministro degli Affari Esteri c’era Beniamino Andreatta. Non era un tecnico slegato dai partiti però, nonostante il curriculum: era espressione della Dc. Oggi, dunque, bisogna fare con ciò che si ha. E Draghi si deve confrontare con quello che abbiamo visto all’opera dal 2018 in poi. Palazzo Chigi non è la Bce e il parlamento italiano non è il suo board. Se vogliamo dirla tutta, in questo paese distrutto dalla mediocrazia, l’arrivo di Draghi è una benedizione rassicurante (evviva le élite!), ma è la rappresentazione migliore di un Paese che non ha più personale politico all’altezza, logorato da dieci anni di crisi profonda. Al dunque, bisogna adattarsi, come già suggeriva Giovanni Giolitti in una lettera del 1896 alla figlia Enrichetta: «Il governo deve mirare a correggere, a migliorare, ma anch’esso è composto di uomini, e l’ uomo perfetto non esiste. Un governo è il portato di secoli di storia, e la peggiore di tutte le costituzioni sarebbe quella che venisse studiata in base a principi astratti e non fosse adatta in tutto e per tutto alle condizioni attuali del paese. Il sarto che ha da vestire un gobbo, se non tiene conto della gobba, non riesce».

Ecco, di sarti noi ne abbiamo due. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Mario Draghi. Sono i migliori sarti che abbiamo a disposizione in questo momento, ma le gobbe abbondano. Pensare che i partiti – compresi quelli che hanno preso il 32,5 per cento in Parlamento – spariscano da un giorno all’altro significa non capire che cosa sia una Repubblica parlamentare. La politica è l’arte del compromesso, non l’arte di trasformare l’acqua in vino. Tuttavia, come osserva Lorenzo Castellani, «difficile sarà questa volta per i partiti scaricare tutta la colpa sui tecnici; si evita la sconnessione totale dagli elettori del governo Monti; alla fine le forze politiche si sono auto-commissariate per sopravvivere». Vediamo, però, quanto reggeranno i compromessi.

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