Ancora troppe le domande senza risposta

L'Italia ha un’ultima occasione di smentire chi la considera il più grande porto delle nebbie d’Europa

La prua del Moby Prince dilaniata dall’impatto con l’Agip Abruzzo (Novi)

La prua del Moby Prince dilaniata dall’impatto con l’Agip Abruzzo (Novi)

Livorno, 9 aprile 2021 - La nebbia. C’è ancora chi giura che vi fosse, quella notte del 10 aprile 1991. E c’è ancora chi giura il contrario. Di sicuro non sono bastati trent’anni per spazzar via dalla rada di Livorno la cortina fitta di dubbi, ipotesi, teorie, supposizioni che hanno accompagnato la Signorìa della Morte nel compimento del suo corso sulla più grande tragedia della marineria civile italiana.

Una certezza sola, quella sì, ha scandito il tempo, il dolore e la vergogna di uno Stato che non ha saputo (o voluto) trovare la verità: 140 persone, fra cui bambini, morte nella collisione fra il traghetto Moby Prince e la superpetroliera Agip Abruzzo, ancorata (esattamente come?) a 2,7 miglia dal porto labronico. Una fine atroce nel fuoco. Un’agonia lunghissima, vissuta da tutti a bordo con la piena consapevolezza di ciò che stava accadendo. Vergogna, sì. Vergogna, Italia: in questi trent’anni hai saputo dare il peggio di te, piegata a un vizio consolidato in altri innumerevoli casi sprofondati in torbidi giri di misteri e potere, di inchieste deviate, di piste più politiche che giudiziarie. E di morti. Di gente che ha perso la vita senza aver sottoscritto regole d’ingaggio, ma solo perché casualmente si trovava su un treno, in una piazza, in una banca, in una stazione. O su una nave, appunto.

Nebbia, fuoco, petrolio, notte, caos, morte: sei parole-chiave hanno accompagnato il disastro del traghetto della Navarma in una serata fin lì placida, con la tv che mandava in onda le partite di calcio Barcellona-Juventus e Broendby-Roma. Livorno percepì qualcosa nell’immediatezza, sì, ma non capì subito la reale portata dell’accaduto. Il resto dell’Italia ne prese contezza alle prime luci di un’alba fatta di fumo e puzzo di nafta.

E ancora oggi, dopo trent’anni, non abbiamo cassato dai nostri articoli il gigantesco punto interrogativo su troppi ‘perché?’. Perché è successo? Perché la prua del Moby è penetrata nell’Agip Abruzzo, all’incirca sotto il castello di poppa? Perché quelle 140 persone non sono state soccorse in tempo?

Ieri l’altro l’onorevole pentastellato Francesco Berti ha detto: "Negli ultimi trent’anni lo Stato si è dimostrato eccessivamente timido nel cercare la verità sul Moby Prince. Mi auguro che la commissione monocamerale d’inchiesta in procinto di costituirsi alla Camera sia un punto di svolta". E’ vero, "Stato eccessivamente timido". Tanti, troppi interessi in gioco, è la vulgata. Piste percorse tante, chiarezza zero. Errore umano, problemi tecnici sul traghetto, nebbia, posizione dell’Agip Abruzzo. E altre ipotesi via via escluse in sede giudiziaria: l’attentato, il movimento in rada, le navi militari, il traffico d’armi. Di tutto e di più, senza che si sia giunti a nulla.

Ora torna in gioco in Parlamento. Ma perché una commissione monocamerale? Perché non farla bicamerale, senza limiti temporali? Se ripartiamo, facciamolo con il giusto abbrivio. Ci sono 140 morti, i loro familiari, che chiedono verità e giustizia. Italia, hai un’ultima occasione: smentisci chi ti considera il più grande porto delle nebbie d’Europa. Devi farlo ora. O mai più.