Oro, la rivincita dei lingotti: l'export tocca il +10% in un anno, è un terzo del totale

Il valore è di 2,3 miliardi: l’oreficeria pura si ferma a 1,9 miliardi, il sistema moda a quota 800 milioni. Il metallo puro cresce quando l’economia mondiale va in fibrillazione

Lingotti d'oro (Afp)

Lingotti d'oro (Afp)

Arezzo, 5 maggio 2019 - Sempre oro è, anche se non quello del distretto di gioielli più importante d’Italia e d’Europa, bensì il metallo giallo e puro dei lingotti, in cui regnano tre giganti capaci da soli di dominare il mercato aretino e nazionale. Sta di fatto che il ruolo di traino dell’export nostrano nel 2018 se lo sono presi i mattoncini che fanno la gioia dei caveau delle banche, l’altra faccia della capitale dell’oro.

Parlano i dati: le esportazioni di lingotti crescono del 10 per cento in un anno solo e trainano da soli l’intera economia internazionale made in Arezzo. Capita quindi che nell’anno in cui i gioielli accusano una leggera flessione (meno 0,8 per cento) e il sistema moda (Prada e le sorelle ma anche l’abbigliamento) registrano un pesante passo indietro, l’oro puro da solo si carichi sulle spalle l’intero export provinciale, facendolo salire del 2,4 per cento a dispetto della flessione degli altri principali settori. Cosa significhi in termini di numeri lo dice un dato da solo: le esportazioni di lingotti hanno pesato per 2,3 miliardi su un totale di 6,7, all’ingrosso un terzo.

L’oreficeria, che schiera un distretto da oltre mille aziende, 8 mila addetti diretti e circa 10 mila con l’indotto (la piccola Fiat aretina) si ferma a 1,9 miliardi, la moda nel suo complesso vale 800 milioni inviati fuori dai confini, 450 di pelletteria e 340 di abbigliamento. Come a dire che il sistema oro (lingotti più gioielli) pesa per 4,2 miliardi di export, all’incirca i due terzi di quanto manda fuori d’Italia la manifattura aretina. Se preferite, per dire l’importanza del metallo prezioso in questa provincia, i lingotti da soli rappresentano quattro volte l’export della moda (un altro comparto forte da sempre) e nove volte le esportazioni del distretto di Prada.

Ovviamente, sono cifre gonfiate dal valore dell’oro. Quel che conta, in termini di Pil, è il valore aggiunto, il margine cioè che deriva dalla lavorazione. E nei lingotti è assai più ristretto di quanto non sia per l’oreficeria e la moda. Non a caso, il gigante Chimet (trentaduesima azienda nazionale per fatturato, tra le prime quattro in Toscana con 2,5 miliardi), la Italpreziosi di Ivana Ciabatti e la Tca coprono i nove decimi del mercato locale e una grossa fetta di quello nazionale, con una vocazione all’export che è diretta principalmente verso la Svizzera, la terra delle banche e degli gnomi della finanza.

E’ un po' la legge del pendolo. Quando l’economia mondiale va bene, tira soprattutto l’oreficeria, cioè la trasformazione dell’oro in gioielli, quando invece si affacciano nubi cupe sulla congiuntura internazionale, ecco che subito scatta la corsa al bene rifugio per eccellenza, i lingotti, cioè, il che rilancia la produzione e l’export delle grandi aziende aretine. Il risparmio, insomma, soprattutto quello dei grandi investitori, si indirizza verso l’oro puro delle banche svizzere, le quali a loro volta fanno salire la domanda sui mercati mondiali.

La conseguenza è un’impennata dell’export made in Arezzo come il 10 per cento in più del 2018. Per dare un termine di raffronto, il 5 per cento di crescita delle esportazioni di gioielli nel 2017 era già parso un buon risultato, qui siamo al doppio, sia pure con un’incidenza inferiore in termini di valore aggiunto e di Pil.

Una camera di compensazione che tiene sempre alto il peso complessivo del comparto oro, ma quando cresce l’oreficeria gli effetti benefici sull’economia reale sono maggiori. Qualcuno, comunque vada, fa festa. Stavolta sono i re aretini dei lingotti. Loro il 2018 se lo ricorderanno.