
Edoardo Albinati al Mix Festival
Arezzo, 2 agosto 2016 - «Quando ho saputo che la proposta era di presentare il mio libro a Cortona non ho avuto dubbi: de corsa, ho risposto» Edoardo Albinati è ancora in «luna di miele» con il Premio Strega. Lo ha vinto da poche settimane ed è nel tourbillon di incontri che segue al trionfo. E oggi alle 19 tocca alla città del Mix, nel cuore del centro di Sant’Agostino.
Perché questa attenzione a Cortona? «Intanto ci sono stato anche in ferie, è un posto davvero meraviglioso».
Una carezza dovuta? «No, no: ne sono convinto. E’ uno dei cinque o sei posti nei quali vorrei sempre tornare».
E poi? «Trovo che presentare un libro in centri come questo sia più facile che non farlo a Firenze o a Bologna. Le città medio piccole garantiscono un’attenzione che quelle grandi spesso ti negano»
E in questo caso c’è in ballo una storia non facile.. «E’ una storia che attraversa la mia vita: è la risposta al bisogno di uscire dal pozzo buio e chiudermi il coperchio alle spalle».
Ricapitoliamo: «La scuola cattolica» ripercorre gli anni che hanno preceduto la strage del Circeo... «E’ un liceo con un nome e un cognome, che ho frequentato anch’io, anche se in una leva diversa»
Leva? «Già, non possiamo parlare di generazione: io sono del ’56, la classe da cui sarebbero usciti i protagonisti di quell’atto di violenza è del ’55».
Una classe.. «Sì, una classe sola, da cui sono partiti alcuni di coloro che hanno preso strade sbagliate anche se per fortuna non tutte tanto estreme»
E quel pozzo. «Perché la verità è che nessuno ne usciva o ne esce bene, neanche gli innocenti»
Tutti colpevoli? «No, una grande zona grigia. Forse la zona della classe benestante o di un intero quartiere o di un modello scolastico»
E qual era la loro colpa? «Non certo complicità, ci mancherebbe. Ma quella forma di indulgenza che sconfina nel disinteresse. Frasi come sono ragazzi si aggiusta tutto: e ti volti dall’altra parte»
In cosa la sua esperienza nel carcere ha inciso in questa scelta? «Lavoro a Rebibbia come insegnante da oltre vent’anni, non sarebbe professionale coglierne segreti per i libri»
No, non in quel senso: ma semmai la voglia di andare oltre i motivi diretti della detenzione? «Diciamo che l’insegnamento e la scrittura sono le mie due galere, fanno parte della mia vita, quindi si influenzano un po’».
Ma tornando indietro a quella scuola? Qual era la sua consapevolezza? «Nessuna. Anche perché un conto sono le prepotenze scolastiche e un conto i delitti atroci che sarebbero arrivati»
E il delitto addirittura si cita solo dopo la metà del libro... «Non è un libro sul Circeo, questo è chiaro. Volevo partire dai bravi ragazzi, dai professori, dalle reazioni di allora, da quello che vivevamo. Tutti maschi, il sesso che si fa strada nei dialoghi, forse delle frustrazioni».
Ancora una zona grigia... «Diciamo che il cuore nascosto del libro non è quello che vediamo ma quello che non vediamo».
Lei ha figli già grandi: se fossero ancora adolescenti glielo farebbe leggere? «Aspetterei la maggiore età perché abbiano gli strumenti e ildiritto per capire: i giovani oggi sono sottoposti a tassi di violenza ben maggiori a quelli che il libro racconta. Ma certo colpisce siano calati su storie e su famiglie vere».
E i suoi detenuti? «Due hanno letto il volume in anticipo: e mi hanno dato l’ok, per loro era buono». E in fondo anche da lì è cominciato tutto.