REDAZIONE AREZZO

C'era una volta la scuola dei remigini: quando in classe si entrava a ottobre

Dal maestro unico alle cartelle al calendario di una generazione ormai superato: Claudio Santori ricostruisce il mondo delle aule che fu

La scuola di una volta

Arezzo, 2 ottobre 2016 - Oggi c'è la “Buona scuola”. Bene: avanti tutta. Manco dalla trincea da un po’e non mi azzardo a trinciare giudizi sulla base delle esternazioni di precari esasperati, delle dichiarazioni di presidi oberati da impegni abnormi e degli articoli di giornalisti a caccia di scoop. Ma mi si fa sempre più insinuante la sensazione che quella che abbiamo fatto noi over 70 non sia stata affatto una “Buona scuola” bensì… una “Scuola buona”!

Abbiamo cominciato il 1° ottobre, molti di noi in una pluriclasse, con una cartella di fibra che conteneva un paio di quaderni (uno a righe e uno a quadretti, per niente attraenti con la loro copertina rigorosamente nera), un astuccio di legno contenente la penna da “inzuppare” con i relativi pennini e l’immancabile “cartasuga”, il lapis, l’”aguzzalapis” e la gomma per “scancellare”; a partire dalla classe terza si è aggiunto il sussidiario che era per noi lo stargate della scienza, lo stimolo della nostra curiosità, la nostra “Treccani”.

AVEVAMO il maestro unico che dentro la classe era come il capitano della nave: aveva sopra di sé soltanto Dio. Non voglio passare come un patetico laudator temporis acti, ma questo maestro unico, fatte salve poche eccezioni fisiologiche, aveva la specifica preparazione per essere maestro di vita e sostituto babbo (maschi e femmine erano rigorosamente separati, ma sono certo che lo stesso avveniva con le bambine e la loro maestra). Il maestro distribuiva spesso e volentieri fior di scapaccioni, tirate d’orecchio e perfino pedate, eppure lo adoravamo, perché tali punizioni erano sempre motivate e noi ci sentivamo in qualche modo tutelati perché sentivamo la sua autorità come un prolungamento di quella del babbo.

Poi è venuta la Scuola Media che ci ha imposto un severo esame per entrarvi e uno non meno severo per uscirne con competenze oggi semplicemente impensabili: senso dell’arco storico dalla preistoria alla Grande Guerra, proiezioni ortogonali, assonometria, algebra, geometria, conoscenza profonda della metrica italiana e latina, lettura integrale dell’Odissea e dell’Iliade. Poi la scuola superiore, fortemente selettiva, dai licei, alleMagistrali, agli Istituti tecnici (al liceo Classico c’era perfino un esame di sbarramento fra biennio, il “Ginnasio”, e triennio, il liceo vero e proprio). Selezione: lo spauracchio che ha portato negli anni Sessanta del secolo scorso - con parecchia demagogia e poco discernimento- alla riforma della scuola media, all’abolizione dell’“Avviamento” (a torto accusato di scuola classista) e a tutta una serie di aggiustamenti e ritocchi che, nell’ottica -miope col senno di poi- di una democratizzazione e modernizzazione si sono risolti in un indebolimento delle potenzialità formative della scuola stessa.

Frale grandi catastrofi pedagogiche della democratizzazione della scuola va annoverata l’eliminazione della pratica di impara- re a memoria! È infatti fra i dieci e i diciotto anni che si possono imprimere nella memoria quegli esempi di forma e di stile (poesie, ma anche brani di prosa umanistica e scientifica) che rimangono per tutta la vita: ho odiato il prof Rodolfo Alberti che mi ha imposto di imparare a memoria non solo poesie da Dante a Gozzano, ma anche capitoli di Cesare (in latino, naturalmente) e perfino di Senofonte (altrettanto naturalmente in greco): oggi ringrazio Iddio di avere avuto fra i mei formatori un Alberti! Platone racconta sul finire del Fedro la storia del dio Theuth e del faraone Thamos.

Theuth inventa moltissime cose, fra le quali considera la più importante per gli uomini la scrittura e la mostra con orgoglio al faraone che invece di lodarlo lo rimprovera: “Ora - gli dice - grazie alla tua invenzione gli uomini confidando nella scrittura non praticheranno più la memoria!”. Uno dei problemi della scuola di oggi, è il costo dei libri di testo! Vedo gli studenti con sul groppone enormi zaini griffati e tanti libri esaurienti, anzi esaustivi.

Noi andavamo a scuola con un pacchettino di libri legato con un laccio di gomma elastica. Nelle giornate di massima tensione - poniamo greco, latino, filosofia e matematica - capitava di mettere il Critone di Platone e la Germania di Tacito nella tasca destra della giacca (a scuola sempre in giacca e cravatta, o in alternativa maglione da ciclista) e il Garin (il manuale di filosofia dalle dimensioni di un fascicolo di Topolino) nella tasca sinistra: nel pacchetto rimanevano solo il libro di matematica di un formato più grande, e il diario! Ci sarà una ragione se oggi i libri si sono gonfiati a dismisura! Il fatto è che se vi capiterà di prenderne uno sul banco dell’usato, vedrete una strisciolina nera di pochi millimetri: la parte effettivamente studiata durante l’anno.

di Claudio Santori