Vita tra due fuochi e l’incubo delle torture

Le memorie di Orlandini, a capo delle Leghe Bianche: dalla grande guerra alla Spagna. Il miglior manoscritto al doppio diario in 50 anni

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Lui, cattolico convinto fino a farne una bandiera del suo impegno sociale, finì in balia della "Banda Carità". Che di carità aveva poco, ragionando con il bastone e il calcio della pistola. "Mi percuotevano con i pugni, con la rivoltella, con la canna dei moschetti e le scarpe chiodate". Un corpo speciale di torturatori della polizia fascista. Era il braccio armato dell’antiresistenza e i suoi metodi andavano dagli attentati alle infiltrazioni, passando dalle esecuzioni sommarie e dall’uso costante della tortura.

Ma Ottorino Orlandini era abituato a vivere tra due fuochi. Non amato dai sindacati tradizionali, cacciato dalle squadracce fasciste, per lui che era a capo delle Leghe Bianche nel Mugello. Pisano, una vita in prima linea: avrebbe cominciato a scrivere le sue memorie nel 1969, due anni prima della morte. Una voce alla quale Pieve ritaglia il Premio speciale "Giuseppe Bartolomei", attribuito dalla commissione di lettura.

Una voce e una vita: combattente nella Grande Guerra, poi volontario in Spagna per Giustizia e Libertà, poi confinato in Francia. E addirittura internato nei campo di Le Vernet, sui Pirenei: prima di ripresentarsi a Firenze, a comandare le formazioni militari del Partito d’Azione.

Ruolo nel quale la banda senza carità lo avrebbe arrestato e poi massacrato ma senza piegarlo: riuscì ad evadere alla vigilia della Liberazione. Amico di don Luigi Sturzo. fino a chiedergli semaforo verde per la guerra di Spagna. Una testimonianza straordinaria, che Pieve ritaglia e valorizza con il pernio speciale.

E così per Patrizia Calovini, il riconoscimento al miglior manoscritto originale. Di diari ne scrive due e a distanza di 50 anni: il secondo nel 2020, l’anno della pandemia e della quarantena. Con la penna e con la matita, le pagine sono un trionfo di disegni e di volti: a cominciare da Mick Jagger e Jimi Hendrix, idoli di una stagione che non iniziava e non finiva nella musica. Tra le pagine le foto di Luigi Burroni.

Reportage in piena regola su una stagione: come quelli che di giorno in giorno realizza Elena Testi, uno dei volti de La7: è lei la scelta del Premio Tutino Gornalista 2022. Dalle corsie dell’ospedale di Codogno all’Ucraina: volto televisivo ma in arrivo dalla carta stampata. "Se non scrivo sto male, ho un’esigenza fisica per la scrittura" racconta lei stessa. Premiata ieri in piazza Pellegrini, in uno di quegli incontri che intrecciano la quattro giorni di Pieve: pagine di un racconto infinito.

Che a volte diventa teatro. Merito di Mario Perrotta, innamorato perso dell’archivio e dei suoi frutti. Stavolta prestava la voce e il volto a "Dei figli", un testo al quale ha lavorato Massimo Recalcati. I figli che restano a casa, che non si sganciano dai genitori, inchiodato ad un limbo che non matura mai a paradiso. L’altro filo dei diari di Pieve, quello dei drammi interiori. Che nell’archivio si intrecciano con quelli storici. E nella piazza della festa compongono un mosaico che somiglia tanto alla vita.

Alberto Pierini