
di Maurizio
Schoepflin
Secondo l’italianista Annalisa Andreoni, Benedetto Varchi (un altro dei grandi ritratti che tappezzano la Sala dei Grandi in Provincia e i cui protagonisti vi stiamo presentando) fu "l’intellettuale di maggior peso dell’Accademia Fiorentina negli anni Quaranta e Cinquanta [del Cinquecento], coltivò generazioni di allievi e svolse un ruolo centrale nella vita intellettuale italiana del medio Rinascimento, operando in ambito letterario, linguistico, storiografico, filosofico e artistico". Anche se vari indizi – due soprattutto: il suo cognome e l’esistenza di una casa, ubicata nel centro di Montevarchi, che una lapide indica come sua – potrebbero far ritenere la cosa plausibile, il Varchi non nacque nella cittadina valdarnese; la dimora cui si è fatto riferimento non è quella dove venne alla luce, tuttavia appartenne alla famiglia ed egli probabilmente vi soggiornò in qualche occasione.
Sempre riguardo ai rapporti fra Benedetto Varchi e Montevarchi, è opportuno ricordare che egli, una volta fattosi prete, fu nominato proposto della collegiata montevarchina di San Lorenzo, ma la morte, che lo colse poco dopo, il 18 dicembre del 1565, non gli permise di svolgere attivamente il ministero affidatogli.
Per tutti questi motivi, fanno certamente bene i montevarchini a tenersi stretto questo loro quasi concittadino, perché, sebbene non possa essere considerato un gigante della storia e della cultura italiana, fu tuttavia capace di assicurarsi un posto di rilievo nel panorama del Rinascimento.
Benedetto nacque a Firenze il 19 marzo del 1503; suo padre era un funzionario che occupò posti piuttosto importanti al servizio della Signoria e dell’Arcivescovado fiorentini, mentre sua madre era la cognata del celebre pittore Domenico del Ghirlandaio. Inizialmente, Benedetto studiò giurisprudenza.
Dopo la scomparsa del padre nel 1524, cominciò per lui un periodo di peregrinazioni, di studi e di incontri in varie parti d’Italia. Uscito sostanzialmente indenne da non pochi scandali dovuti alla sua disinvolta vita sessuale, approfittò molto volentieri dell’invito di Cosimo I dei Medici, che gli offrì un cospicuo stipendio perché lavorasse al suo servizio.
Tra l’altro a Cosimo toccò pure tirarlo fuori dai pasticci in cui si andò più volte a cacciare, sempre a causa di una condotta di vita decisamente sregolata; in un caso, alla sua sorte si interessò perfino l’illustre letterato Pietro Bembo, che intercedette in suo favore presso il signore fiorentino.
Questo mettersi sotto l’ala protettrice di Cosimo gli costò l’accusa di servilismo: in effetti, lui che aveva assunto posizioni da ribelle, dinanzi al potente uomo politico mostrò un volto ben diverso, spinto forse dalle ristrettezze economiche o, più nobilmente, da un’autentica ammirazione nei confronti del duca.
Sta di fatto che nel marzo del 1543 Varchi venne accolto tra i membri dell’Accademia Fiorentina, ove seppe distinguersi subito tanto che Cosimo gli fece pronunciare l’orazione funebre poprio in occasione della morte della propria madre Maria Salviati.
Nel 1547 ricevette un compito assai impegnativo: scrivere la storia fiorentina del periodo compreso fra il 1527 e il 1530. L’opera, in sedici volumi, apparve postuma nel 1721. Accanto a essa, lo scritto più importante del Varchi è considerato l’ Ercolano, dedicato a questioni linguistiche e ritenuto un importante contributo alla creazione di un lessico scientifico e filosofico in volgare.
Il Nostrofu un autore prolifico e si cimentò sia con la prosa che con la poesia. A giudizio di vari studiosi, la sua personalità ben s’inquadra nel clima culturale del Cinquecento italiano: padrone di una memoria eccezionale, si dotò di una cultura vasta ma non approfondita; pertanto in lui non possiamo trovare l’originalità e la creatività che caratterizzano il genio, ma sicuramente buone doti di studioso. Inoltre, alcuni mettono in dubbio la schiettezza delle sue scelte politiche e religiose, considerandole frutto di calcolo e viziate da opportunismo. Varchi fu soprattutto uno storico e un letterato, ma viene annoverato pure tra i filosofi e il suo pensiero si pone sulla scia di quello del grande Aristotele.
A questo riguardo, è interessante ricordare che fra il 1540 e il 1543 si stabilì a Bologna, uno dei centri principali dell’aristotelismo italiano del XVI secolo, ove ebbe come maestro Ludovico Boccadiferro, che aveva fatto propria l’interpretazione averroista del pensiero di Aristotele. Fedele alla sua indole, anche in campo filosofico si avvicinò a dottrine diverse per poi inclinare verso posizioni concordiste, in grado cioè di tenere insieme l’aristotelismo con il platonismo e – cosa ancora più rilevante – con la fede cattolica, quella a cui volle aderire in modo nettissimo in età avanzata, facendosi prete.
Sulla lapide posta sopra il muro della casa montevarchina si leggono le parole dettate dal famoso letterato lucchese Giovanni Battista Niccolini, vissuto fra il 1782 e il 1861: "Casa di Benedetto Varchi il quale benché protetto dal primo Cosimofede e libertà d’istorico ritenneperché al vero ch’egli scrissenon venia impedimento dalla potenzao egli non fu corrotto dalla fortuna".
Peraltro il Varchi medesimo si era descritto nei termini seguenti: "Io non tengo da quel di nessuno, che voglio essere libero di me stesso e credere non quello che persuadono l’autorità, ma quello che dimostrano le ragioni".