Uscì stritolato dalla guerra che aveva voluto

Un giovane interventista repubblicano e democratico che crede nel conflitto "giusto". Pagherà con la vita l’orrore della trincea

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"La guerra è necessaria, utile, improrogabile". Parole che paiono quasi improponibili a noi che da mesi una guerra la stiamo subendo indirettamente e tutti, almeno in pubblico, dicono di ripudiarla e di volerla fermare il prima possibile. Eppure ci fu un tempo in cui quelle frasi, che appartengono al diario di Eugenio Brilli, il primo dei finalisti del premio Pieve che da oggi, come ogni anno, andiamo a presentare, infiammarono il paese e lo spinsero ad entrare in un conflitto, la Grande Guerra appunto, uno dei temi riccorenti dei Diari del Premio, contro la volontà della maggioranza degli italiani sulla quale prevalse la risoluta azione di una minoranza capace di mobilitare opinione pubblica e classe politica.

Si chiamavano interventisti e Brilli era uno di loro, ma c’è interventisimo ed interventismo e quello di questo giovane maremmano, che pagò con la vita la propria coerenza, appartiene al filone cosiddetto democratico, di sinistra, convinto che la partecipazione al conflitto fosse un atto di giustizia, contro gli Imperi Centrali, fra cui l’Austria-Ungheria, oppressori dei popoli e prigione di territori e sudditi naturalmente di nazionalità italiana.

Era un repubblicano il giovane (23 anni nel 1915) di Batignano, in quella provincia di Grosseto che storicamente è stata terra di forte insediamento mazziniano. Ed erano stati i repubblicani appunto a lanciare uno degli slogan forti della campagna per l’Intervento: “O sui campi di Borgogna a fianco della sorella latina (la Francia già in guerra dal 1914 ed invasa Ndr) o a Trento e Trieste per gli Stati Uniti d’Europa". Il che dice già molto della generosa utopia in cui si erano formati Brilli e compagni. Nessuna volontà di potenza, nessun compiacimento della violenza: "Io non sono per la guerra estetica - scrive lui - cantata dai cultori della forza fisica, non sono per il dominio imperialista di un popolo su un altro popolo...ma quando un popolo vuol vivere libero e un altro popolo minaccia la sua esistenza...sarebbe indegno se rifiutasse di combattere il suo nemico implacabile...la guerra attuale è per fare l’Italia contro l’Austria e la Germania".

Nel repubblicano maremmano, insomma, non c’è niente della retorica dannunziano o della prepotenza del Nazionalismo, l’Intervento è per lui la naturale prosecuzione di una lotta politica che lo ha visto finire in carcere contro le istituzioni monarchiche. Un anno prima, quando militare di leva ha denunciato sulla "Voce repubblicana" i soprusi subiti da un commilitone. Arresto da lui subito con la forza della convinzione e la nostalgia della famiglia, in cui c’è un figlioletto il cui nome, Libero o Liberino, dice tutto delle idee del padre.

Brilli e gli interventisti democratici, col decisivo aiuto dell’interventismo di destra e della monarchia, avranno successo nel trascinare l’Italia in guerra, ma neppure loro immaginano l’inferno e gli orrori di quella spietata macchina di morte e distruzione che è un conflitto moderno. Il giovane di Batignano farà appena in tempo a combatterlo sul fronte dell’Isonzo nelle trincee dei primi mesi di guerra: "L’effetto delle granate è terrificante - annota il 30 ottobre 1915 - non c’è coraggio possibile, non si tratta di forza d’animo contro la forza bruta. Quando mi sarà dato di rivedere i miei cari?".

Quasi un presagio di morte, Brilli cade il giorno succesivo, dilaniato proprio da una granata. Non abiurerà mai i suoi generosi principi di una democrazia cui la guerra fa da levatrice, ma anche le utopie muoiono come i soldati a milioni, stritolate dal terribile carnaio.