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Cronaca

Una doppia guerra insidia gli "eroi" della memoria

La formula dell’idea riproposta attraverso gli occhi degli otto finalisti dell’anno. Dalle trincee e dalle bombe al male di vivere che ti svuota oltre il tempo

di Alberto Pierini

Oggi è veramente un altro giorno. Diverso da ieri e da domani, la cui traccia profonda è lì, a disposizione di occhi attenti e di chi abbia voglia di scavare. L’oggi, la dimensione temporale tipica dei diari, le righe scritte in presa diretta, sotto la spinta della vita. E che solo il premio di Pieve Santo Stefano ha avuto l’intuizione e la capacità di farne storia. E domani la piazza si riapre. La piazza al centro del paese, il luogo dove l’evento si snoda e scorre. La piazza del tempo, le cui dimensioni vanno ben al di là della geografia e del calendario.

Piazza dove gli echi della guerra arrivano più o meno attutiti. Gli echi della guerra vera, quella delle trincee e della paura per i racconti legati al conflitto che ha aperto il secolo scorso. E la guerra interiore, che a volte passa dalla malattia e a volte da odissee personali che neanche le bombe riuscirebbero a raccontare al meglio. Eugenio Brilli la Grande Guerra l’aveva voluta, anche senza avere il potere di dichiararla. Credeva nel conflitto "giusto" da buon interventista repubblicano e democratico. Gli è costata la vita in quella diga dell’assurdo che erano le trincee. Ado Ciocchiatti la guerra se la portava da casa: ma era quella per la sopravvivenza, la povertà che ti trasforma l’oggi in un incubo e non certo in un altro giorno. La "patria" si ricorda di lui solo per arruolarlo, ma in barba alla guerra quotidiana che aveva scandito la sua vita. E anche lui è lì che si incrocia con la morte.

Morte sulla quale si affaccia Egizia Migliosi: il tempo di compiere 18 anni, l’età del balzo nella maturità. La sua casa crolla sotto le bombe: e tra le macerie resta incastrata e uccisa la mamma. Le sfila con delicatezza la fede dal dito e si prende sulle spalle la memoria e il destino di una famiglia. E insieme il compito di ripartire, lasciando alle spalle le macerie del 1943.

La povertà è anche la cifra che filtra dal diario di Vincenzo Iacieri. Parte da clandestino in Francia, cerca di invertire la ruota della sfortuna, girando il mondo, attraversa i mestieri più diversi. In un flusso di giorni tutti uguali e tutti diversi, che scorrono quasi senza punteggiatura. Girano anche i , o meglio gli ex giovani, del tour verso est a bordo di due auto storiche.

Ma bontà loro girano per diletto e affidano le avventure più goliardiche che esistenziali alla penna di Roberto Fiorini, uno di loro. Per una di quelle imprese che in genere resterebbero nell’annuario personale e che Pieve consegna invece alla memoria, come solo l’archivio sa fare. Memoria sulla pelle di ragazzi: si innamorano in una di quelle estati che nella vita personale diventano indimenticabili, le uniche ad allargare la dimensione dell’oggi al resto della vita. L’amore si arrende alla distanza che separa la Spagna da Venezia, l’amicizia no, resiste nel tempo fino al diario che raccoglie il loro epistolario che di giorno in giorno vira dalla passione alla solidità di un legame.

Legame che Anna Mazzoli vuole spezzare: ma è il legame con la malattia, quella che ti aggredisce quando meno te lo aspetti e ti lascia senza fiato. La descrive come un tuono, così come la guarigione con una luce. Due immagini forti, comuni a quanti si sono ritrovati a combattere con la cartella sanitaria in mano.

Un po’ come gli oggetti e le abitudini che Enrica De Palma tramanda ai nipoti, per raccontare il suo viaggio nella vita. Le radici e i codici di famiglia, per chi aveva frequentato i big, o forse i vip dell’epoca, da Salvemini a Chabod a Melograni. Nelle sue pagine c’è la sintesi del paese dei diari: cogliere quei fili che regalino al presente uno scorcio di futuro. Perché oggi è veramente un altro giorno.