
"Un acuto dedicato alla mia città". Il baritono Cassi profeta in patria. Lancia la scuola della lirica e sogna di formare il pubblico
"Mi piacerebbe tanto lasciare una traccia nella mia città. Dopo un percorso così lungo, così tortuoso come lo è stato il mio, vorrei creare ad Arezzo una realtà migliore di quando ho cominciato". È questo il sogno nel cassetto di Mario Cassi, il noto baritono aretino di fama internazionale. Dopo aver calcato i palcoscenici più importanti di tutto il mondo e aver interpretato una varietà incredibile di ruoli, ha il desiderio di impegnarsi in prima persona: "Affinchè, in città, l’Opera diventi un’attività che unisce persone, realtà imprenditoriale, politica e cittadini". Un sogno che sta già prendendo forma con "Le stanze dell’Opera" la scuola per aspiranti cantanti lirici e musicisti, guidata da Cassi e organizzata dalla Fondazione Guido D’Arezzo, di cui è Vicepresidente, il cui inizio è fissato per lunedì 11 marzo. Katia Ricciarelli, Vesselina Kasarova, Giuseppe Gipali, Lucio Gallo tra i docenti.
Come nasce l’idea?
"Dalla sinergia tra pubblico, privato, esperienza dei grandi cantanti e giovani. Un’operazione innovativa che vede imprenditori aretini mettere non solo soldi, ma anche la propria disponibilità a seguire le attività lasciandosi coinvolgere concretamente dal mondo dell’Opera".
Chi può partecipare?
"Per questo primo anno, ci siamo indirizzati a studenti già avviati al canto che hanno bisogno di un perfezionamento che li prepari a sostenere audizioni, concorsi ed entrare nel mondo del lavoro".
È una grande opportunità da principianti?
"Non posso non riconoscere che se l’avessi avuta io all’inizio, forse la mia carriera sarebbe decollata prima".
Un’occasione anche per il pubblico?
"Vorrei vedere molti aretini partecipare alle lezioni, una sorta di concerti aperti. Anche chi non conosce l’Opera, potrà imparare ad amarla e trasformarsi nel pubblico del futuro".
Cosa si augura per gli studenti?
"Di poter dare quel supporto necessario ad iniziare la carriera. Misureremo i risultati constatando cosa avranno, dalla scuola, in termini di contratti, audizioni, rapporti con manager".
Un suo consiglio?
"Vorrei darlo al mondo intero dell’Opera: aprirsi di più alle realtà economiche e portare grandi imprese a investire sulla cultura, motivandole e aiutandole a comprendere che l’investimento è su un’attività che crea valore sociale ed economico, non ricreativa".
Arezzo, città di provincia, che potenzialità può avere?
"Quando ho cominciato io, i grandi della lirica non li vedevi al Petrarca, dovevi andare a Firenze. Adesso abbiamo avuto Grigolo, Anna Netrebko, già va molto meglio. Credo molto nel progetto ‘Arezzo città della musica’ del Sindaco Ghinelli, è la direzione giusta".
Il suo è stato un percorso faticoso?
"Sì, ma voluto contro tutto e tutti. Ero il più giovane laureato di Toscana, avevo un rapporto avviato in un noto studio commerciale aretino, la mia carriera lì sarebbe stata sicuramente più facile".
Rimpianti?
"Non direi, perché tutte le emozioni che vivo quando sono sul palco, la botta di adrenalina che arriva quando percepisci che stai dando emozioni al pubblico in teatro, i loro riconoscimenti. Impagabile!".
Nelle recite, che rapporto c’è tra prova fisica e studio intellettuale della musica?
"È l’essenza del nostro lavoro, ciò che lo rende eccezionale e non standardizzabile, perchè non esistono due voci uguali al mondo. La voce fa parte del corpo e noi dobbiamo allenare corpo e mente. In 25 anni di carriera, non ho mai fatto tutto ciò che la testa voleva fare, c’è sempre un qualcosa nel fisico che blocca quello che la mente vuole. La grandezza della Callas o di Pavarotti, sta proprio in quella connessione totale che avevano raggiunto tra tutte le parti del corpo".
Quali autori oggi la stimolano di più?
"Il cuore in questo momento va con Verdi e Puccini. Sarà per l’età, sarà perché l’anno scorso ho debuttato in uno dei ruoli più belli della mia vita, Michele ne ‘Il Tabarro’, ma con Puccini attualmente c’è una bella emozione".