MASSIMO PUCCI
Cronaca

Trova un banco di scuola con incisi nomi di deportati ebrei: e ne cerca i discendenti

Un artigiano ottantenne lo ha comprato da un rigattiere: ha portato alla luce scritte e firme. Tra cui «Dari G», «Pelotti» e «Bidini». Lancia un appello

Angelo Colombo al banco

Arezzo, 27 gennaio 2019 - Un banco dove hanno studiato persone deportate nei campi di concentramento, un banco che proviene da una scuola del centro di Siena e che ora si trova nel garage di un falegname di Pozzo della Chiana, vicino a Foiano.

È proprio lui, Guido Colombo, ottantenne artigiano della Valdichiana, a raccontare la storia di questo banco scolastico, ancora praticamente integro con tanto di panca e mensola portalibri, dove sono incisi nomi e cognomi di chi ha studiato in quel posto, ma anche segni del regime e scritte che richiamano il ventennio della dittatura fascista e della deportazione degli ebrei.

Questo fatto nel Giorno della Memoria ha riacceso in Guido la voglia di entrare in contatto con i parenti dei deportati, con coloro che hanno testimonianze di familiari che hanno subito la barbarie della Shoah e magari proprio con alcuni di quelli che hanno passato l’infanzia su quel banco e che ci hanno inciso il proprio cognome.

«Ho fatto tante telefonate per risalire alle famiglie delle persone che possono aver studiato su questo banco – racconta Colombo – sono riuscito a parlare con alcune di loro e fra queste anche con alcune famiglie di fede ebraica. Mi hanno detto di aver avuto parenti che sono stati deportati nei campi di concentramento, come ad Auschwitz».

Fra le incisioni ancora leggibili c’è un grande «Dari G», che fa appunto riferimento a una famiglia senese di origine ebraica nella quale, secondo quanto ha raccolto Guido, ci sarebbero state persone deportate nel lager di Auschwitz. Altri cognomi incisi sono quelli «Pelotti» e «Bidini».

«Il banco – ricorda Guido Colombo – l’ho acquistato da un rigattiere di Siena e mi disse che proveniva da una scuola elementare della città che se ne era liberata nel dopoguerra. Secondo quanto sono riuscito a stabilire, sarebbe stato usato fino agli anni ‘40 del secolo scorso». Una volta acquistato e portato nel laboratorio, il falegname iniziò a scartare la vernice azzurra con cui era stato pitturato, è a quel punto che iniziò a vedere le scritte e le incisioni.

«Subito – racconta Colombo – smisi di usare la carta abrasiva e passai ai solventi, perché non volevo rovinare le incisioni, capì subito che sotto quella vernice c’erano delle storie. Il mio rammarico, quando iniziai a telefonare e riuscì a trovare quei contatti, è di non aver proseguito a fondo e di averli persi. Per questo vorrei tanto lanciare un appello ala famiglia Dari, o anche ad altre, per direi che se vogliono il banco dove quel loro parente ha studiato da bambino, quel banco è qui da me. Vorrei che lo potessero vedere e mi piacerebbe coinvolgere musei e storici».