
È la storia del doppio femminicidio, nell’appartamento al quarto piano che affaccia su porta San Lorentino, il bastione antico, la fortezza che non è servita a difendere la vita di due donne e gli anni leggeri di due fratelli. Qui è esplosa la furia di Jawad Hicham, 38 anni, arrivato dal Marocco in Italia, dopo una serie di passaggi in Spagna e Francia. Una vita di espedienti, "dormiva in un vagone del treno con tre amici", poi l’incontro con Sara ancora adolescente, l’amore forse già allora malato, un figlio, una vita in salita.
Oggi Jawad torna nell’aula della Corte di Assise per la seconda udienza del processo. Torna con gli occhi bassi e lo sguardo assente, come un mese fa, e col peso di un’accusa che potrebbe costargli l’ergastolo: omicidio volontario aggravato dai legami di parentela. Dal carcere di Prato ha scritto un biglietto alla presidente della corte, Annamaria Loprete, invocando il perdono ed evocando l’accesso alla giustizia riparativa. Un percorso in cui elaborare il pentimento e provare a riallacciare, se possibile, quel filo spezzato coi figli.
Lo prevede la riforma Cartabia, ma suo figlio ha già deciso: "Spero gli diano l’ergastolo…quel biglietto? Per me è carta straccia. Poteva fare qualcosa di meglio prima e non lo ha fatto, poteva fare il padre e non lo è mai stato. Giustizia riparativa? Sarebbe un’altra offesa".
Accanto a lui, c’è lo zio Alessandro Ruschi, fratello di Sara, lo cura con lo sguardo di chi lo ha accolto come un figlio insieme alla sorellina che a gennaio compirà tre anni. Nella cucina di casa, il ragazzo e lo zio riavvolgono il nastro e chiedono giustizia.
"Vogliamo raccontare chi era quest’uomo prima di quella notte, come si comportava con Sara e i figli, vorremmo più luce sugli anni precedenti, fino all’ultimo nel quale è peggiorato. Quando ha ucciso Sara e Brunetta era lucido, in carcere prende psicofarmaci, ma va processato per aver tolto a questi ragazzi due persone importanti. Non vorremmo che, alla fine, venissero applicati sconti di pena o attenuanti", incalza Alessandro che rivendica voce e chiede ascolto su una tragedia esplosa come una bomba in una famiglia che porterà cicatrici per sempre.
"Vorremmo si tenesse conto di chi è quest’uomo e di quello che ha fatto dal giorno in cui ha incontrato Sara. Lei era invaghita, non ascoltava le raccomandazioni del mio babbo, contrario. Jawad l’ha portata sulla cattiva strada: quando Sara era incinta è stato arrestato con una partita di droga da Milano, lui stesso assumeva sostanze ed è finito in una comunità di recupero. Era clandestino e avrebbe dovuto essere rimpatriato, ma Sara e Brunetta si sono fatte garanti per lui, impegnandosi ad accoglierlo in casa e a dargli l’opportunità di cambiare. Sara l’aveva incontrato a 16 anni, era una ragazzina sempre attiva, colorata, bravissima a disegnare. Poi di colpo lei si era trasformata, infatuata e condizionata da lui". Forse Sara pensava già al futuro, alla sua vita con lui. Per questo ha lottato contro tutto e tutti, mai lasciata sola dalla madre Brunetta. Era lei a occuparsi del figlio nei primi anni di vita, così come della piccolina venuta al mondo nel 2021.
"Con la nascita di mia sorella, Jawad era diverso, più tranquillo, anche se continuava a tenermi lontano". Per alcuni anni ha lavorato come "facchino all’hotel Etrusco, poi ha beneficiato della disoccupazione e non ha più cercato lavoro. Nell’ultimo anno passava le giornate sul divano, bevendo birra davanti alla tv", afferma Ruschi. Il nipote annuisce e negli occhi torna quel film: "Era geloso anche dei miei giocattoli e ne ho avuti pochissimi. La mattina stava chiuso in camera, c’era da preparare il pranzo e io non sapevo fare". Mai un gesto d’affetto, mai una parola. Fino agli sguardi che si scambieranno oggi in aula.
Lucia Bigozzi