"Sono un Montana, non mi fermo più" I messaggi choc della baby gang

L’amico della baby gang fermato con una pistola: "Se sei uno di loro nessuno ti può offendere". Domani gli interrogatori

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di Erika Pontini

Appena diventato ‘Montana’ aveva cambiato nome aggiungendo il cognome tratto dal gangster di Scarface per segnalare l’ascesa criminale e pure account Instagram postando una foto con pistola, soldi e la scritta inquietante: “Ora ho un motivo per non fermarmi mai. Voglio un patrimonio esteso”. Che ricorda tristemente Al Pacino-Montana dietro a una montagna di droga e soldi. Era entrato in ‘famiglia’ perché era riuscito a emergere, proteggendo il capo Walid Rakia, vent’anni, dal controllo di polizia dopo l’ennesima aggressione a un ragazzino alle scale mobili, rispondendo alle ‘chiama’ - detto in gergo - che la banda si scambiava in chat per organizzare le spedizioni punitive o intervenire al bisogno.

Ha 17 anni, è aretino: è uno dei 7 ragazzini finiti in carcere in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Maria Serena Favilli che, su richiesta della procura per i minorenni di Firenze, ha stroncato la baby-gang che aveva messo a ferro e fuoco il centro storico, grazie ad un’indagine portata avanti da squadra mobile (diretta da Pietro Penta) e nucleo investigativo della polizia municipale (Gianni Bigliazzi) dopo mesi scanditi dalle paura di rapine, furti, taglieggiamenti, minacce e spaccio di droga direttamente in Sant’Agostino, la loro ‘fattura piazza’ o anche la “Welid Montana Zone”.

Nove le misure eseguite: 7 in cella tra Firenze, Torino, Roma e Napoli, due ai domiciliari in comunità tra Montevarchi e Città di Castello. Ma, soprattutto la contestazione di associazione a delinquere, concessa dal giudice a fronte della riconosciuta "stabilità" e "coesione" del gruppo. "Questi ragazzi - scrive - si muovono ed agiscono come un branco e il loro modus operandi denota una precisa e studiata modalità di aggressione". Non un manipolo di bulli ma una gang organizzata.

I retroscena li racconta direttamente un amico del gruppo agli investigatori. Era stato fermato nel marzo scorso per un controllo e aveva addosso una pistola semiautomatica priva di tappo rosso e quindi identica ad un’arma vera: si era giustificato spiegando che un amico, componente della banda, gli aveva chiesto di custodirla. "(omissis) è diventato da poco Montana… conosco anche gli altri… chi entra è una persona alla quale nessuno può arrecare offese e deve essergli portato rispetto e quindi non può essere infastidito da altri… da quando cammino con lui anche i marocchini che conosco di vista non mi danno più fastidio". "Uno di loro – è il verbale di una giovane testimone – era stato mandato via da Arezzo perché aveva commesso reati. Questa famiglia Montana è molto presente sui social fanno canzoni, video musicali ambientati in piazza Sant’Agostino.... preciso ch sono persone di cui gli aretini hanno paura. Io quando li incontro cambio strada".

Sembra un film sulla malavita, è la drammatica realtà di provincia e, secondo il giudice, la prova del "vincolo associativo" che per i ragazzi del gruppo diventa "riconoscimento sociale". "I componenti di questa baby gang non si considerano semplici componenti di un gruppo ma una vera e propria famiglia, compatta e coesa nell’affermazione del proprio potere e nella propria difesa e ben riconoscibile dall’esterno". Il capo resta Walid, il più grande e carismatico (attualmente agli arresti domiciliari nel nord Italia): quello che il potere di riscuotere il denaro, che tiene i ragazzi per essere picchiati, che impartisce ordini. Ma "all’interno della gang – avverte il giudice – i partecipanti fanno carriera conquistandosi sul campo la possibilità di chiamarsi Montana". Domani saranno interrogati e dovranno spiegare il loro ruolo nella gang.