Smart working, l'"ammazzacaffè": pasti veloci, cinque milioni in fumo solo in centro

E colazioni addio. Il lavoro a casa (cinquemila in città e 20 mila in provincia) colpisce duro la somministrazione, già piegata dai mesi del lockdown

Smart working  

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Arezzo, 29 maggio 2020 - Bello lo smart working, uno sta a casa, gestisce l’orario di lavoro in modo flessibile, si organizza la giornata anche a seconda delle esigenze familiare ed è produttivo lo stesso, forse anche più di prima. E determinante è stata questa svolta in tempi di lockdown perché ha consentito a numerose attività di andare avanti comunque e in piena sicurezza, quella sicurezza che non sarebbe stato possibile assicurare sul tradizionale luogo lavorativo.

Già, bello lo smart working. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e da qui in poi bisognerà anche calcolare, accanto ai vantaggi personali della flessibilità, quanta occupazione e che giro di denaro il lavoro a distanza avrà fatto perdere.

La prima conseguenza è sotto gli occhi di tutti e si parte da una cifra a spanne: sarebbero circa cinquemila le persone in città che negli ultimi tre mesi hanno cambiato le modalità del lavoro, oltre quindicimila considerando tutta la provincia. Ma restando ad Arezzo per capire ciò che il fenomeno ha creato basta fare un giro nel centro basso, nella città del terziario, degli uffici, delle banche, dei servizi, delle scuole, dei palazzi pubblici, dei commercialisti e via discorrendo.

E’ vero che il gap da lockdown non sarebbe stato comunque recuperato del tutto, ma è altrettanto vero che lo smart working ha fatto il resto. Così, in un bar dove nel periodo normale si facevano dai 120 ai 150 pasti veloci, oggi si arriva a quaranta quando va bene.

«E il brutto è che non recupereremo tutti i clienti perduti» ragiona il gestore. Lo stesso vale per la quasi totalità dei locali che sul pasto veloce avevano, favorito dall’utilizzo dei ticket aziendali, avevano fondato molto delle loro fortune.

Calcolando una spesa media di 8-10 euro a pasto per duemila persone che non vanno più al bar (stando parecchio prudenti) nel centro basso, si perdono in un giorno dagli 16 ai ventimila euro, quattrocentomila in un mese lavorativo, cinque milioni in un anno. Se si aggiungono anche le colazioni, la cifra sale ulteriormente.

E al quadro, sempre limitatamente ad Arezzo, mancano almeno altrettanti frequentatori dei locali che aprono le serrande in zone non centrali ma che erano comunque gettonatissimi: in via Romana, in via Fiorentina, in area San Clemente, a Pescaiola, nelle frazioni immediatamente a ridosso della città.

Un business impossibile da calcolare ma che fa schizzare le media giornaliera degli incassi perduti a causa del combinato disposto lockdown-smart working. Quindi meno denaro circolante, posti di lavoro che andranno in fumo, fornitori a loro volta con gli affari più che dimezzati, altra occupazione che se ne va. Insomma, il solito circolo vizioso di quando il diavolo ci mette lo zampino.