
Alessandro Tracchi, leader della Cgil aretina
Venti anni. Sta in questa forbice l’evoluzione, in alto e in basso, dell’economia aretina. E in particolare del distretto orafo, traino dello sviluppo, oggi in fase di rallentamento per effetto di variabili, purtroppo costanti: dazi, costo della materia prima, instabilità dei mercati. I numeri raccontano la trasformazione. Alessandro Tracchi, al timone della Cgil aretina, incrocia i dati di ieri con quelli di oggi e traccia un "quadro allarmante". Negli anni 2000 erano 1700 le aziende orafe "ovvero marchi registrati e produzione di qualità, con circa undicimila lavoratori. Oggi le aziende sono circa 1200 e i dipendenti settemila. Se nel 2000 l’80 per cento degli addetti aveva un contratto a tempo indeterminato, oggi il 25 per cento lavora con contratti a tempo determinato".
La proiezione della Cgia di Mestre mette in luce un trend preoccupante. Come si incrocia con il vostro osservatorio? "Non riusciamo a focalizzare un arco temporale di quindici anni, le nostre previsioni si spalmano nei prossimi quattro".
Cosa emerge? "Un quadro allarmante. Nella provincia aretina fortemente vocata alla manifattura, ci sono molte aziende in crisi e posti di lavoro a rischio. Una curva decrescente che viene da lontano e, a rotazione, ha colpito vari settori, dalla metalmeccanica, all’oreficeria che ha già subito due crisi. Eppoi il tunnel nel quale si è infilato il comparto moda nel suo complesso".
A che punto è la crisi del tessile? "Gli analisti dicono che tra giugno e ottobre ci saranno segnali di lieve ripresa con gli ordini che ripartiranno. Che non vuol dire tornare ai valori di due anni fa, bensì fermare la caduta a picco".
E in questa caduta a picco quante aziende sono saltate? "All’interno del settore moda registriamo un aumento delle ore di cassa integrazione che si attesta al 30 per cento. Il punto è: trattandosi di una crisi iniziata nel secondo semestre 2023, molte aziende non avevano più il paracadute degli ammortizzatori sociali, arrivati nella seconda metà del 2024 e in modalità insufficiente a coprire l’entità della crisi. In questo lasso di tempo c’è stato un numero importante di chiusure o fallimenti".
Ne avete traccia anche nei vostri uffici legali? Qual è la portata? "Certamente, vediamo un incremento delle procedure fallimentari. Tendenzialmente, ogni due settimane si affacciano ai nostri uffici legali aziende che hanno tra i 30-50-100 dipendenti, insieme a tante altre che stanno dentro l’iter concorsuale, ad esempio i concordati preventivi come misura per ‘passare la nottata’ e superare l’ondata di crisi. Dati preoccupanti, anche perchè la crisi della moda nel suo complesso, non riguarda solo l’abbigliamento ma investe vari settori complementari: dalla galvanica, alle calzature e pelletteria, alla meccanica, alla logistica".
Cosa serve per reagire all’onda d’urto? "Occorre ripensare l’intero sistema, le modalità di gestione delle aziende, investire in formazione e su progetti di ricollocazione, altrimenti il rischio è quello di lasciare per strada 6-10mila lavoratori nei prossimi 15 anni".
L’export fa da traino, ma c’è un rallentamento: e se va in crisi pure l’oro che succede? Giordini da Confindustria lancia l’allarme, condivide? "Per ora sull’export i dati restano positivi anche se il rischio di una flessione pure per il settore orafo e della meccanica di precisione potrebbe attestarsi tra il 10 e il 20 per cento, come riferimento medio. Il punto è che se si perde quel range difficilmente si potrà recuperare per una serie di motivi. Quali? Su molti prodotti sui quali l’export si basa potrebbe non esserci una domanda interna, poi perchè l’Italia si sta impoverendo con salari bassi che penalizzano il potere d’acquisto e frenano i consumi. Condivido la preoccupazione di Giordini, anche perchè all’oscillazione del prezzo della materia prima, si somma la difficoltà per tante aziende di accedere al credito per acquistarla. Si genera così una spirale nella qual rischia di avvitarsi l’economia"