Sfogo in classe: "Abbiamo paura". L’urlo delle ragazze, basta silenzio

Al liceo artistico in cento hanno fatto rumore. "Le donne devono essere unite contro ogni violenza"

Sfogo in classe: "Abbiamo paura". L’urlo delle ragazze, basta silenzio

Sfogo in classe: "Abbiamo paura". L’urlo delle ragazze, basta silenzio

Riecheggia il numero 107 al liceo artistico. Una delle scuole "mobilitate" dopo l’omicidio di Giulia. Centosette sono le donne vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno, Giulia porta il bollettino di guerra a 108. A scuola un minuto di silenzio in sua memoria, ma quel silenzio si è poi trasformato in 45 minuti di urla, racconti. "Dopo quel silenzio siamo partite, in 15, urlando, battendo le mani. In pochi minuti in quel corridoio, un centinaio di ragazzi hanno gridato: se domani tocca a me, voglio esser l’ultima", racconta Martina Mugnai, classe quinta.

"Una manifestazione spontanea. Non cambierà niente, ma ci siamo fatti sentire nel nostro mondo. Il mondo della scuola non sempre fa la sua parte nella nostra educazione. Nella mia classe, ad esempio, nessun prof ha accennato al caso Giulia" osserva Consuelo Bartolozzi. "Mi sento molto vicino a questa terribile storia, è stato un momento collettivo di speranza. In mezzo a quella folla di studenti mi sono sentito realizzato, ce l’ho fatta a dar voce al mio pensiero" spiega Alex Ruffino.

Beatrice La Pini va dritta al punto: "Serve essere unite per farci ascoltare dai ragazzi, far capire loro che una donna che esce il sabato sera non può e non deve avere paura. Le donne devono vivere con la stessa tranquillità con cui vivono gli uomini. Per lanciare questo messaggio lunedì daremo vita a un evento". Una paura che esiste anche fra le giovani aretine. "Ho timore di girare di notte da sola. Cerco di muovermi sempre in compagnia. Non è un suggerimento che viene dai miei, ma da una mia consapevolezza" dice Sara Calvaruso.

"Chi più chi meno, tutti hanno vissuto il possesso, la gelosia, la non accettazione del no, ma anche la battuta spinta da parte di ragazzi. Ormai, rientra tutto nella normalità" racconta la compagna Rahman Mawua. E poi c’è quel "era un bravo ragazzo". "Una frase che mi atterrisce. Come facciamo a distinguere, e a tutelarci, da chi ha tali problematiche?" si domanda Vittoria Maudente. "Si arriva a parlare di Giulia quando tutto è già avvenuto. Questa violenza deve sparire, si deve fare un profondo lavoro sul rispetto. Uomo e donna devono essere sullo stesso piano. Un percorso che deve partire dalle famiglie e arrivare nelle scuole. Della violenza sulle donne se ne deve parlare quotidianamente in ogni ambito" spiega Stella Barneschi della classe terza.

Una violenza che alcuni fanno risalire a un retaggio culturale. "Non credo che la responsabilità sia dei genitori, a uno sculaccione in più dato in tenera età; credo che la società sia cambiata solo in apparenza: è indietro nel suo io più profondo. Un io in cui la violenza esiste ancora" spiega Enea Tanganelli. E a proposito di voci maschili "tra i ragazzi sembra non ci sia piena consapevolezza. Un compagno mi ha detto: ora le donne penseranno che tutti gli uomini sono così" rileva Consuelo. "Non si può certo giustificare un gesto del genere, ma si può comprendere per cercare di riconoscerne i segnali" spiega Luca Bernardini. Sotto la lente di ingrandimento società, famiglia, scuola, ma anche i media: "Spesso assistiamo a narrazioni tossiche. Il problema è anche come se ne parla" spiega Sara Caldaruso.

Gaia Papi